mercoledì 22 maggio 2013

I GEROGLIFICI EGIZI



Il termine “geroglifico” non è un termine egizio; si tratta di una parola di origine greca formata da hieros, che significa “sacro” e da “glyphein”, che significa “incidere”, “scalfire”.

Per  gli antichi Greci i geroglifici erano una scrittura sacra e incisa, ovvero una rappresentazione scolpita sulla pietra, del sacro.
Tomba del governatore Maja, Saqqara, Cairo


Ed è così veramente.
Per gli antichi Egizi i geroglifici rappresentavano “la parola di Dio”, che era necessario saper comprendere.
Ma che cosa è di così abbastanza sacro da diventare geroglifico?
Gli antichi Egizi ci avrebbero risposto: “Tutte le espressioni della vita, dalla pietra alla stella, dall’animale all’uomo”.

I geroglifici apparvero per la prima volta sulla paletta del Re Narmer o sulla mazza del re Scorpione, che celebrano la vittoria sulle tenebre di questi antichi fondatori della civiltà egizia, circa 3200 a.C.
Gli studiosi pensano che i geroglifici esistessero già prima di questi re.
Questo potrebbe voler dire che i geroglifici hanno un età di cinquemila anni.

Champollion, lo studioso francese che per la prima volta decifrò questo sistema di scrittura, diceva:
I geroglifici egiziani si presentano sempre nella loro forma già perfezionata, per quanto antichi siano i testi sui quali noi li studiamo”.
I geroglifici usati durante l’Antico Regno (3200-2270 a.C.), quelli che furono incisi al tempo della Piramidi, sono di una bellezza straordinaria.
Ogni segno è un piccolo capolavoro, rifinito dalle mani di artigiani molto geniali.
Mi fanno pensare alle immagini incise sul rovescio delle corniole romane. Superbi capolavori in miniatura da osservare con la lente di ingrandimento.

Attualmente il latino ed il greco sono delle lingue così dette “morte”, che nessuno parla più, ma non è così per i geroglifici.
Se osserviamo un testo scritto con i geroglifici noteremo che esso è pieno di esseri animati come animali, donne e uomini in azione, uccelli, mammiferi, pesci, anatre… ricordiamoci che queste immagini continuano ad agire nel mondo invisibile anche dopo migliaia e migliaia di anni.
L’universo dei geroglifici abbraccia la realtà in tutti i suoi aspetti. Essi aboliscono il tempo.
Sono al di sopra delle mode, inalterabili, fissati per sempre nell’eternità.
Le piramidi stesse sono in realtà un monumentale geroglifico in pietra e la loro decifrazione sta richiedendo gli sforzi di molti studiosi e ricercatori.

Gli antichi Egizi erano talmente persuasi di questa efficacia quasi magica dei segni geroglifici al punto che in certi casi si prendevano la cura di tagliare in due i leoni e i serpenti, per impedire loro di nuocere, oppure inchiodavano al suolo con dei coltelli i rettili pericolosi.

Dunque, quando vi recherete in Egitto,  sarà meglio che non vi avviciniate troppo alle pareti ricoperti di geroglifici e soprattutto non li tocchiate.
Eviterete di risvegliare il leone o i serpenti e non danneggerete i geroglifici.

Non si può parlare di progresso quando siamo davanti al sistema di scrittura geroglifico, perché esso nacque perfetto e non ha conosciuto miglioramenti.
Questo fatto ha rappresentato un formidabile elemento di stabilità, comparabile all’istituzione faraonica, unico regime politico per più di tremila anni.

Solo quando per l’Egitto iniziò il periodo di decadenza l’incisione divenne a volte meno curata e di minore qualità.



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mercoledì 15 maggio 2013

FILM SUI FARAONI: Cleopatra VII



Questo film sui faraoni parla della regina Cleopatra VII.
E' un film del  1963 diretto dal regista  Joseph Mankiewicz.

Il film è interpretato da Elizabeth Taylor, Richard Burton, Rex Harrison.


Il film sui faraoni probabilmente  fu ispirato dalla tragedia di Shakespeare, Antonio e Cleopatra, che racconta le lotte, non solo politiche, della giovane regina d’Egitto Cleopatra,  per resistere alle ambizioni espansioniste di Roma che voleva conquistare anche l’Egitto e dei due amori della sua vita,  Giulio Cesare e Marco Antonio.

Elizabeth Taylor venne ingaggiata con un contratto di quasi un milione di dollari, un primato per quegli anni.

Il contratto, per questo film sui faraoni, prevedeva l'aggiunta di altri sette milioni di dollari come percentuale sugli incassi, tutto pari a oltre 47 milioni di dollari di oggi.

L'attrice, durante le riprese, si ammalò di una forma molto grave di polmonite e fu necessario ricoverarla d'urgenza in ospedale, dove le venne praticata una tracheotomia per poterle salvarle la vita.

A causa di questo la produzione del film sui faraoni, si fermò per parecchio tempo dato che quasi ogni scena richiedeva la presenza della Taylor.

La produzione, che si trovava a Londra dovette essere trasferita a Roma dopo la malattia della di Lizi, in quanto il clima inglese, freddo e umido, pregiudicava la guarigione della Taylor, deteriorava i set e pregiudicava la vita delle numerose piante esotiche che erano usate per le scene. 

La cicatrice della tracheotomia effettuata alla Taylor durante il periodo delle riprese è visibile in numerose scene.

Forse non tutti sanno che i costumi che Elizabeth Taylor indossò durante le riprese del film, costarono ben 194.800 dollari.

Nessun altro film sui faraoni nè su altri personaggi storici, spese una tale somma di denaro per vestire un singolo attore. 

Tra i 65 costumi che l’artista indossò c'era anche un vestito fatto a mano in oro da 24 carati.

Per il ruolo di Cleopatra il regista e gli sceneggiatori pensarono anche ad altre diverse dive oltre la Taylor, quali : Susan Hayward, Joan Collins, Audrey Hepburn.

Anche per il ruolo di Marco Antonio furono presi in considerazione diversi attori prima di affidarlo a Burton, tra di loro ci furono Marlon Brando e  Peter  O’ Toole.

Durante lo svolgimento della lavorazione del colossal, Elizabeth Taylor  e Richard Burton, che nella finzione scenica personificava il generale Marco Antonio, si innamorano e diedero inizio una relazione molto passionale, che divenne immediatamente di dominio pubblico e scatenò uno scandalo, portando una pessima pubblicità su di una produzione già tanto sofferta, incerta e piena di problemi.

Il film inizialmente era programmato per durare sei ore, ma durante il taglio ed il montaggio delle scene girate, il regista Mankiewicz ridusse dapprima il film alla durata di quattro ore ma poi, su richiesta degli studios e nonostante le sue obiezioni, furono operati ulteriori tagli che lo ridussero a poco più di tre ore. 

Questo per far sì che le sale cinematografiche potessero aumentare il numero delle proiezioni quotidiane e far entrare più soldi nelle casse quasi vuote della produzione.

Tra le scene tagliate si trova quella della morte di Rufio, il servo di Marco Antonio che si trafisse con la daga.


Mankiewicz  tentò senza successo di persuadere la produzione a dividere il materiale in due film distinti, così da conservare tutte le scene, ma non ci riuscì e fu per lui una grande delusione.

L'obiettivo del regista era quello di fare del film sui faraoni un kolossal in due pellicole separate di circa tre ore ciascuna: la prima avrebbe portato il titolo "Cesare e Cleopatra" ; la seconda si sarebbe chiamata  "Antonio e Cleopatra".

La casa produttrice, invece,  volle fare un unico film di quasi quattro ore, che è quello che possiamo vedere noi ora e che risale al 1963.

Gli appassionati del genere stanno ancora aspettando con ansia e trepidazione la messa in commercio di una nuova versione del film che comprenda anche le due ore mancanti.

Dati gli enormi costi per produrre questo film, possiamo dire che con il film Cleopatra hanno termine i film colossal storici.

Il film vinse quattro premi Oscar e quattro nomination al Golden Globe.



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mercoledì 8 maggio 2013

COME LA SABBIA DEL DESERTO DA' VITA ALLA FORESTA AMAZZONICA


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Del deserto del Sahara si sa che un tempo era verde e lussureggiante, ma ancora oggi gioca un ruolo chiave nel ciclo della vita sul Pianeta.

Il mese di maggio è il culmine della stagione secca del deserto.
In questo periodo sono diversi i venti che spazzano il deserto: il Kamsin, il Ghibli, il Levante, l’Harmattan.

Questi venti giungono fino in Europa depositando la finissima polvere del deserto su ogni cosa.
Ma i venti del Sahara non raggiungono solo l’Europa e il Medio Oriente.

La sabbia del deserto calpestata dai dromedari, chiamata diatomite, è una roccia silicea di origine organica, formata milioni di anni fa, in ambiente lacustre o marino. 

Essa è il residuo fossile di microscopiche alghe della famiglia delle diatomee e del residuo di microscopici animaletti presenti nel plancton.

Le diatomee sono ricche di carbonato di calcio e diossido di silicio, mentre la micro fauna del plancton è ricca di ferro e fosforo, due elementi necessari a tutti gli organismi viventi conosciuti.

Ma la cosa ancora più eccezionale è che questi granelli di sabbia del deserto, in soli sei giorni alimenteranno la vita in una foresta tropicale a novemila chilometri di distanza.

Basta che un solo granello di diatomite si sollevi in aria per avviare il processo di rinascita.

Nella stagione secca, i granelli di sabbia del deserto, grazie alla costante erosione del vento e agli sbalzi di temperatura del deserto, si disintegrano in una polvere sottile che viene facilmente trasportata dal vento; ben presto l’aria diverrà satura di questa particelle microscopiche.

In questi ultimi dieci anni, grazie alla messa in orbita di satelliti quali il Meteosat e Terra, gli scienziati, che tengono sotto controllo il clima terrestre, hanno rilevato una circolazione di polveri quotidiana, come una nube che si solleva dal deserto.

La polvere si solleva puntuale come un orologio ogni giorno a mezzogiorno.

Quello che è iniziato come un processo a livello microscopico diventa una colossale tempesta di sabbia, alta come un palazzo di cento piani e larga centinaia e centinaia di chilometri, tipica in questa stagione.

La nube di antico plancton invade il continente africano.

Sulla costa occidentale la sabbia si solleva nell’atmosfera e comincia una traversata epica dell’Atlantico, sospinta dal vento dominante.

Il satellite mostra le quarataquattromila tonnellate di sabbia trasportate ogni giorno a migliaia di chilometri di distanza fino all’Amazzonia.

E’ proprio in queste nubi che sovrastano la foresta pluviale che l’antico plancton rinasce in un modo spettacolare.

I minerali contenuti nella sabbia si dissolvono nelle goccioline e cadono nella foresta amazzonica sottoforma di pioggia.

Le precipitazioni si abbattono incessantemente durante la stagione delle piogge riversando quarantuno miliardi di chili di sabbia africana sulla foresta sottostante.

Quello che un tempo era plancton ora penetra nel suolo e nelle radici degli arbusti rivitalizzando la foresta.

La fertilizzazione della foresta amazzonica compiuta dalla sabbia sahariana è rimasta invisibile all’occhio umano fino all’avvento del satellite “Terra”.

La strumentazione di questo satellite è talmente sensibile che è in grado di rilevare non solo la migrazione della sabbia sahariana verso l’Amazzonia, ma di misurare la crescita della vegetazione dallo spazio.

Ora è possibile osservare cosa succede al termine della stagione delle piogge quando torna il sole.

Per la prima volta dopo sei mesi i raggi del sole inondano la foresta; il risultato è un’esplosione di vita.

Per ogni foglia spuntata ne compariranno altre tre in soli dieci giorni.
Un’ondata verde dilaga nel continente.

La migrazione della sabbia del deserto del Sahara in Amazzonia è solo uno delle migliaia di processi simili che distribuiscono minerali vitali agli habitat di tutto il pianeta.

Deserti, montagne e antichi sedimenti; ciascuno ha una composizione diversa ed entra nella catena della vita in una miriade di modi.

Ogni suolo del pianeta dipende da questi processi.

Le grandi pianure del Nord America sono il risultato dei depositi glaciali, perfetti per la produzione di mais e frumento.

In Bangladesch, il delta del Gange è ricco di ferro eroso dall’Himalaia, un ingrediente essenziale per le piantagioni di riso.

Altri minerali vengono trasportati nell’aria, nell’acqua e nel ghiaccio su tutta la superficie terrestre, permettendo alla vegetazione di ridisegnare l’aspetto del nostro pianeta.



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