mercoledì 19 giugno 2013

BELLYDANCE



La bellydance o danza del ventre è una danza molto bella: essa migliora l’aspetto fisico senza annoiarsi né stressarsi, fa vivere il proprio erotismo e la propria femminilità in maniera molto divertente e gioiosa.



Nella bellydance si può vivere e danzare felicemente senza essere accompagnate da un partner.

Si può ballare da sole, in casa o in gruppo.

Poiché la bellydance non richiede una coreografia precisa, anche le principianti giungono abbastanza rapidamente a ballare a tempo eseguendo poche semplici figure.
Questo gratifica molto e entusiasma.

La bellydance, o danza orientale, intesa come disciplina fisica generale o semplicemente come divertimento, è adatta a tutte le donne indipendentemente dall’età e dalla corporatura.

I movimenti della bellydance sono piuttosto delicati e possono essere eseguiti in modo molto personalizzato, a seconda delle proprie condizioni fisiche.

Perciò anche le donne non più giovani, paffutelle e non allenate possono esprimersi molto bene in questo tipo di danza.

Con la bellydance ci si confronta molto intensamente con il proprio corpo; si vengono a conoscere parti e muscoli fino allora ignorati, ci si scontra con barriere ed inibizioni, ma si scoprono anche molte capacità nascoste nel proprio organismo.

L’amore per la musica orientale è uno dei presupposti più importanti per avvicinarsi alla danza del ventre.

Se si subisce una volta questa attrazione, non si esce più dal fascino della musica e dei suoi movimenti coinvolgenti.

Nella musica orientale è presente tutta la gamma delle emozioni e dei sentimenti umani: la delicatezza, il sogno, la malinconia, la gioia, l’allegria, l’istintività, la forza, l’aggressività.
Tutti questi sentimenti trovano espressione della danza orientale o bellydance e possono essere vissuti liberamente.

Questo gioco di musica e corpo, musica e psiche, lascia spazio anche agli umori del momento.

Ciò che della danza del ventre o bellydance affascina molte donne e molti uomini è la sensualità dei movimenti.

Le oscillazioni dei fianchi, morbide e flessuose, le vibrazioni del bacino e i movimenti sinuosi di tutto il corpo sono l’emblema dell’erotismo, della seduzione, della voluttà.

Questa danza eseguita con il costume adatto, che fascia le forme femminili mettendo in risalto i fianchi e il seno, può risvegliare sogni di questo tipo.
Sta alla sensibilità della danzatrice eseguire i movimenti con maggiore o minore sensualità.

La personalità della danzatrice e l’interpretazione della musica creano una forma espressiva individuale, irripetibile.

Durante i nostri soggiorni in Egitto, Emanuela, una delle nostre acconpagnatrici, maestra di danza del ventre, impartirà, a chi ne avrà piacere alcune lezioni di bellydance all'ombra delle palme da dattero.

Si potrà anche assistere a veri e propri spettaccoli di danza del ventre nei numerosi malha o cabaret del Cairo.

L'Egitto, dopo la Turchia, è la terra dove la danza del ventre è diventata uno sport nazionale sia per donne che per uomini e tutti la sanno praticare, perfino i bambini e le bambine.

Assistere a una danza orientale è uno spettacolo da non perdere e nel Camp dove saremo ospiti si danza ogni sera; qui sono soprattutto gli uomini ad esibirsi nelle danze che invitano le donne a ballare con loro.

Le danze degli uomini possono essere alle volte molto più sensuali ed erotiche di quelle delle donne.  

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martedì 4 giugno 2013

DANZA DEL VENTRE EGIZIANA



La danza del ventre è una danza proveniente dal Medio-Oriente e dai paesi arabi, eseguita soprattutto, ma non esclusivamente, dalle donne. 



La danza del ventre è considerata una delle danze più antiche e profonde del mondo, soprattutto nei Paesi del Medio-Oriente e in  Nord Africa, Egitto compreso.

In Egitto, la danza del ventre, è entrata a far parte della cultura di una intera popolazione.
In Egitto la danza del ventre viene praticata anche dagli uomini; si chiama con molti nomi, uno di questi è la danza del bastone.

La danza del ventre fa parte di un gruppo di danze folkloristiche medio-orientalie nord-africane
Che si sono sviluppate ed evolute presso le corti principesche del Medio-oriente, ma non solo.

Se ne trova traccia anche nella raccolta di favole medio-orientali “Le mille e una notte”.

Durante la  Campagna d'Egitto del generale Napoleone, i soldati francesi vennero vennero a contatto con questo tipo di danza.

Essi, provenendo  da una società relativamente puritana e bigotta, intesero il movimento sinuoso dei corpi e l’uso di veli delle danzatrici, come un forte afrodisiaco facendo loro credere che queste serie ed esperte professioniste della danza fossero delle donne di dubbi costumi.

La fantasia di questi militari grezzi e insensibili, coniò per questo tipo di danza il temine “danza del ventre, perché i loro sguardi venivano attratti solo dai seducenti fianchi femminili che roteavano in maniera molto provocante.
 Immaginatevi il loro stupore davanti a tanta bellezza e libertà!

La danza del ventre o danza orientale è tradizionalmente praticata dalle donne, perché esprime interamente la femminilità, la vitalità e la sensualità.

 Esistono diversi tipi di questa danza o forse possiamo dire che ogni danzatrice interpreta la danza in uno stile suo personale.

Famosa è la danza dei sette veli di Salomè davanti ad Erode Antipa prima di chiedere al Re la testa di Giovanni Battista.

Questa danza è caratterizzata dalla sinuosità, dalla sensualità, dalla grazia muliebre dei movimenti: essa è di grande effetto sia per le musiche ritmate, alle volte lente e alle volte frenetiche.

Di solito è praticata da danzatrici professioniste ma ogni donna, ogni bambina in Egitto la pratica in maniera divina. 
Nei nostri soggiorni egiziani abbiamo apprezzato e ci siamo meravigliate nel vedere bambine e bambini anche molto piccoli, tre o quattro anni, danzare e muovere il bacino e le articolazioni in maniera sublime.

La danza del ventre è particolarmente adatta al corpo femminile, perché aumenta la flessibilità e la tonicità del seno, delle spalle, delle braccia, del bacino, ma soprattutto della pancia rinforzando gli addominali, modellando la linea e giovando agli organi interni. 

Tonifica le cosce, migliora l'agilità delle articolazioni e sembra ritardare l'osteoporosi, migliorando la postura e rafforzando la regione pelvica. 

Inoltre, la danzatrice orientale ha tutti i dirtti  di essere bene in carne; difatti le danzatrici più famose ed apprezzate sono quelle formose. 
La donna può così mostrare le proprie forme senza pudore e nella totale accettazione di se stessa, mostrando tutta la sua bellezza come una statua dell’età classica.

Quello che importa non è la rotondità ma la sensualità, la grazia e la sinuosità dei movimenti.

Non c’è niente di più bello che sperimentare la danza del ventre nella terra che le diede i natali: l’Egitto, dove tutto è danza.

Se desideri immergerti nella ricca cultura beduina dove gli uomini danzano con vigore e grazia assieme; se desideri  danzare al suono dello jud egiziano e dei tamburi beduini mentre the fragranti  ti avvolgono con i loro aromi, allora entra anche tu a far parte dei nostri gruppi di viaggio basati sulla conoscenza, sulla scoperta, sulla gioia di vivere.

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mercoledì 22 maggio 2013

I GEROGLIFICI EGIZI



Il termine “geroglifico” non è un termine egizio; si tratta di una parola di origine greca formata da hieros, che significa “sacro” e da “glyphein”, che significa “incidere”, “scalfire”.

Per  gli antichi Greci i geroglifici erano una scrittura sacra e incisa, ovvero una rappresentazione scolpita sulla pietra, del sacro.
Tomba del governatore Maja, Saqqara, Cairo


Ed è così veramente.
Per gli antichi Egizi i geroglifici rappresentavano “la parola di Dio”, che era necessario saper comprendere.
Ma che cosa è di così abbastanza sacro da diventare geroglifico?
Gli antichi Egizi ci avrebbero risposto: “Tutte le espressioni della vita, dalla pietra alla stella, dall’animale all’uomo”.

I geroglifici apparvero per la prima volta sulla paletta del Re Narmer o sulla mazza del re Scorpione, che celebrano la vittoria sulle tenebre di questi antichi fondatori della civiltà egizia, circa 3200 a.C.
Gli studiosi pensano che i geroglifici esistessero già prima di questi re.
Questo potrebbe voler dire che i geroglifici hanno un età di cinquemila anni.

Champollion, lo studioso francese che per la prima volta decifrò questo sistema di scrittura, diceva:
I geroglifici egiziani si presentano sempre nella loro forma già perfezionata, per quanto antichi siano i testi sui quali noi li studiamo”.
I geroglifici usati durante l’Antico Regno (3200-2270 a.C.), quelli che furono incisi al tempo della Piramidi, sono di una bellezza straordinaria.
Ogni segno è un piccolo capolavoro, rifinito dalle mani di artigiani molto geniali.
Mi fanno pensare alle immagini incise sul rovescio delle corniole romane. Superbi capolavori in miniatura da osservare con la lente di ingrandimento.

Attualmente il latino ed il greco sono delle lingue così dette “morte”, che nessuno parla più, ma non è così per i geroglifici.
Se osserviamo un testo scritto con i geroglifici noteremo che esso è pieno di esseri animati come animali, donne e uomini in azione, uccelli, mammiferi, pesci, anatre… ricordiamoci che queste immagini continuano ad agire nel mondo invisibile anche dopo migliaia e migliaia di anni.
L’universo dei geroglifici abbraccia la realtà in tutti i suoi aspetti. Essi aboliscono il tempo.
Sono al di sopra delle mode, inalterabili, fissati per sempre nell’eternità.
Le piramidi stesse sono in realtà un monumentale geroglifico in pietra e la loro decifrazione sta richiedendo gli sforzi di molti studiosi e ricercatori.

Gli antichi Egizi erano talmente persuasi di questa efficacia quasi magica dei segni geroglifici al punto che in certi casi si prendevano la cura di tagliare in due i leoni e i serpenti, per impedire loro di nuocere, oppure inchiodavano al suolo con dei coltelli i rettili pericolosi.

Dunque, quando vi recherete in Egitto,  sarà meglio che non vi avviciniate troppo alle pareti ricoperti di geroglifici e soprattutto non li tocchiate.
Eviterete di risvegliare il leone o i serpenti e non danneggerete i geroglifici.

Non si può parlare di progresso quando siamo davanti al sistema di scrittura geroglifico, perché esso nacque perfetto e non ha conosciuto miglioramenti.
Questo fatto ha rappresentato un formidabile elemento di stabilità, comparabile all’istituzione faraonica, unico regime politico per più di tremila anni.

Solo quando per l’Egitto iniziò il periodo di decadenza l’incisione divenne a volte meno curata e di minore qualità.



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mercoledì 15 maggio 2013

FILM SUI FARAONI: Cleopatra VII



Questo film sui faraoni parla della regina Cleopatra VII.
E' un film del  1963 diretto dal regista  Joseph Mankiewicz.

Il film è interpretato da Elizabeth Taylor, Richard Burton, Rex Harrison.


Il film sui faraoni probabilmente  fu ispirato dalla tragedia di Shakespeare, Antonio e Cleopatra, che racconta le lotte, non solo politiche, della giovane regina d’Egitto Cleopatra,  per resistere alle ambizioni espansioniste di Roma che voleva conquistare anche l’Egitto e dei due amori della sua vita,  Giulio Cesare e Marco Antonio.

Elizabeth Taylor venne ingaggiata con un contratto di quasi un milione di dollari, un primato per quegli anni.

Il contratto, per questo film sui faraoni, prevedeva l'aggiunta di altri sette milioni di dollari come percentuale sugli incassi, tutto pari a oltre 47 milioni di dollari di oggi.

L'attrice, durante le riprese, si ammalò di una forma molto grave di polmonite e fu necessario ricoverarla d'urgenza in ospedale, dove le venne praticata una tracheotomia per poterle salvarle la vita.

A causa di questo la produzione del film sui faraoni, si fermò per parecchio tempo dato che quasi ogni scena richiedeva la presenza della Taylor.

La produzione, che si trovava a Londra dovette essere trasferita a Roma dopo la malattia della di Lizi, in quanto il clima inglese, freddo e umido, pregiudicava la guarigione della Taylor, deteriorava i set e pregiudicava la vita delle numerose piante esotiche che erano usate per le scene. 

La cicatrice della tracheotomia effettuata alla Taylor durante il periodo delle riprese è visibile in numerose scene.

Forse non tutti sanno che i costumi che Elizabeth Taylor indossò durante le riprese del film, costarono ben 194.800 dollari.

Nessun altro film sui faraoni nè su altri personaggi storici, spese una tale somma di denaro per vestire un singolo attore. 

Tra i 65 costumi che l’artista indossò c'era anche un vestito fatto a mano in oro da 24 carati.

Per il ruolo di Cleopatra il regista e gli sceneggiatori pensarono anche ad altre diverse dive oltre la Taylor, quali : Susan Hayward, Joan Collins, Audrey Hepburn.

Anche per il ruolo di Marco Antonio furono presi in considerazione diversi attori prima di affidarlo a Burton, tra di loro ci furono Marlon Brando e  Peter  O’ Toole.

Durante lo svolgimento della lavorazione del colossal, Elizabeth Taylor  e Richard Burton, che nella finzione scenica personificava il generale Marco Antonio, si innamorano e diedero inizio una relazione molto passionale, che divenne immediatamente di dominio pubblico e scatenò uno scandalo, portando una pessima pubblicità su di una produzione già tanto sofferta, incerta e piena di problemi.

Il film inizialmente era programmato per durare sei ore, ma durante il taglio ed il montaggio delle scene girate, il regista Mankiewicz ridusse dapprima il film alla durata di quattro ore ma poi, su richiesta degli studios e nonostante le sue obiezioni, furono operati ulteriori tagli che lo ridussero a poco più di tre ore. 

Questo per far sì che le sale cinematografiche potessero aumentare il numero delle proiezioni quotidiane e far entrare più soldi nelle casse quasi vuote della produzione.

Tra le scene tagliate si trova quella della morte di Rufio, il servo di Marco Antonio che si trafisse con la daga.


Mankiewicz  tentò senza successo di persuadere la produzione a dividere il materiale in due film distinti, così da conservare tutte le scene, ma non ci riuscì e fu per lui una grande delusione.

L'obiettivo del regista era quello di fare del film sui faraoni un kolossal in due pellicole separate di circa tre ore ciascuna: la prima avrebbe portato il titolo "Cesare e Cleopatra" ; la seconda si sarebbe chiamata  "Antonio e Cleopatra".

La casa produttrice, invece,  volle fare un unico film di quasi quattro ore, che è quello che possiamo vedere noi ora e che risale al 1963.

Gli appassionati del genere stanno ancora aspettando con ansia e trepidazione la messa in commercio di una nuova versione del film che comprenda anche le due ore mancanti.

Dati gli enormi costi per produrre questo film, possiamo dire che con il film Cleopatra hanno termine i film colossal storici.

Il film vinse quattro premi Oscar e quattro nomination al Golden Globe.



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mercoledì 8 maggio 2013

COME LA SABBIA DEL DESERTO DA' VITA ALLA FORESTA AMAZZONICA


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Del deserto del Sahara si sa che un tempo era verde e lussureggiante, ma ancora oggi gioca un ruolo chiave nel ciclo della vita sul Pianeta.

Il mese di maggio è il culmine della stagione secca del deserto.
In questo periodo sono diversi i venti che spazzano il deserto: il Kamsin, il Ghibli, il Levante, l’Harmattan.

Questi venti giungono fino in Europa depositando la finissima polvere del deserto su ogni cosa.
Ma i venti del Sahara non raggiungono solo l’Europa e il Medio Oriente.

La sabbia del deserto calpestata dai dromedari, chiamata diatomite, è una roccia silicea di origine organica, formata milioni di anni fa, in ambiente lacustre o marino. 

Essa è il residuo fossile di microscopiche alghe della famiglia delle diatomee e del residuo di microscopici animaletti presenti nel plancton.

Le diatomee sono ricche di carbonato di calcio e diossido di silicio, mentre la micro fauna del plancton è ricca di ferro e fosforo, due elementi necessari a tutti gli organismi viventi conosciuti.

Ma la cosa ancora più eccezionale è che questi granelli di sabbia del deserto, in soli sei giorni alimenteranno la vita in una foresta tropicale a novemila chilometri di distanza.

Basta che un solo granello di diatomite si sollevi in aria per avviare il processo di rinascita.

Nella stagione secca, i granelli di sabbia del deserto, grazie alla costante erosione del vento e agli sbalzi di temperatura del deserto, si disintegrano in una polvere sottile che viene facilmente trasportata dal vento; ben presto l’aria diverrà satura di questa particelle microscopiche.

In questi ultimi dieci anni, grazie alla messa in orbita di satelliti quali il Meteosat e Terra, gli scienziati, che tengono sotto controllo il clima terrestre, hanno rilevato una circolazione di polveri quotidiana, come una nube che si solleva dal deserto.

La polvere si solleva puntuale come un orologio ogni giorno a mezzogiorno.

Quello che è iniziato come un processo a livello microscopico diventa una colossale tempesta di sabbia, alta come un palazzo di cento piani e larga centinaia e centinaia di chilometri, tipica in questa stagione.

La nube di antico plancton invade il continente africano.

Sulla costa occidentale la sabbia si solleva nell’atmosfera e comincia una traversata epica dell’Atlantico, sospinta dal vento dominante.

Il satellite mostra le quarataquattromila tonnellate di sabbia trasportate ogni giorno a migliaia di chilometri di distanza fino all’Amazzonia.

E’ proprio in queste nubi che sovrastano la foresta pluviale che l’antico plancton rinasce in un modo spettacolare.

I minerali contenuti nella sabbia si dissolvono nelle goccioline e cadono nella foresta amazzonica sottoforma di pioggia.

Le precipitazioni si abbattono incessantemente durante la stagione delle piogge riversando quarantuno miliardi di chili di sabbia africana sulla foresta sottostante.

Quello che un tempo era plancton ora penetra nel suolo e nelle radici degli arbusti rivitalizzando la foresta.

La fertilizzazione della foresta amazzonica compiuta dalla sabbia sahariana è rimasta invisibile all’occhio umano fino all’avvento del satellite “Terra”.

La strumentazione di questo satellite è talmente sensibile che è in grado di rilevare non solo la migrazione della sabbia sahariana verso l’Amazzonia, ma di misurare la crescita della vegetazione dallo spazio.

Ora è possibile osservare cosa succede al termine della stagione delle piogge quando torna il sole.

Per la prima volta dopo sei mesi i raggi del sole inondano la foresta; il risultato è un’esplosione di vita.

Per ogni foglia spuntata ne compariranno altre tre in soli dieci giorni.
Un’ondata verde dilaga nel continente.

La migrazione della sabbia del deserto del Sahara in Amazzonia è solo uno delle migliaia di processi simili che distribuiscono minerali vitali agli habitat di tutto il pianeta.

Deserti, montagne e antichi sedimenti; ciascuno ha una composizione diversa ed entra nella catena della vita in una miriade di modi.

Ogni suolo del pianeta dipende da questi processi.

Le grandi pianure del Nord America sono il risultato dei depositi glaciali, perfetti per la produzione di mais e frumento.

In Bangladesch, il delta del Gange è ricco di ferro eroso dall’Himalaia, un ingrediente essenziale per le piantagioni di riso.

Altri minerali vengono trasportati nell’aria, nell’acqua e nel ghiaccio su tutta la superficie terrestre, permettendo alla vegetazione di ridisegnare l’aspetto del nostro pianeta.



Questo e altro ancora potrai scoprire nei nostri viaggi.
I viaggi che noi ti proponiamo sono nuovi e inconsueti nella loro formulazione e proprio per questo sono così  ricchi di fascino e di interesse.
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martedì 30 aprile 2013

EGITTO ANTICO: IL MONDO FEMMINILE








ISIDE: madre e regina  
Nell' Egitto antico, Iside raffigurava il centro della nostra galassia, nel suo aspetto divino di Madre della Creazione.
Iside, creatrice di tutte le cose.

Essa era il primo elemento della vita, l'utero occultato di tutto ciò che esiste.

Nell'Egitto Antico, personificava la sorgente dei raggi cosmici, della polvere interstellare e di altri sostanze rare che scaturivano dal centro della galassia e che la scienza ha scoperto solo in tempi storici recenti.

Uno dei più grandi segreti racchiusi nella religione dell'Egitto antico, è infatti la conoscenza di un Sole segreto al centro dell'universo, oltre a quello che noi vediamo.

Nel codice alchemico, il centro della galassia viene anche chiamato il Sole nero; il Sole nascosto, quello non visibile.

E' il Sole segreto che incarna l'eterno femminino.

Il figlio di Iside e del suo consorte Osiride è il divino Horus, raffigurato anche mentre la dea lo allatta al seno.

Nell'Egitto antico, Horus simboleggia il Sole che splende nel cielo. 
 

Per mezzo di questa immagine metaforica, il mito egizio racconta che Iside, il centro della galassia, ha dato la vita al nostro Sole, proprio come il centro della galassia ha dato vita a tutto ciò che esiste.

A conferma di questa ipotesi i ricercatori Bouval e Hanckok,  hanno scoperto in questi ultimi decenni che i due condotti sud della grande Piramide di Cheope, quelli che partono dalla Camera del Re e dalla Camera della Regina, puntassero nel 10.500  a.C., rispettivamente verso la costellazione di Orione e la stella Sirio, che erano identificate nell’Egitto antico con Osiride e Iside.
Gli antichi egizi erano forse a conoscenza  che la vita sulla terra abbia avuto origine all’infuori della terra stessa, dal centro della nostra Galassia?

Iside, grande di magia, è la donna serpente che diventa l’ureo, il cobra femmina che si innalza davanti al Re per distruggere i nemici della luce.

Soltanto un’evoluzione negativa e un’interpretazione errata del simbolo primitivo trasformeranno la buona dea-serpente nel rettile della Genesi che inganna e corrompe Adamo ed  Eva.

Iside e Osiride testimoniano, invece, il vissuto di una conoscenza luminosa raggiunta grazie all’amore, che permette di andare al di là della morte.

Sotto le sembianze della Stella Sothis, Iside annuncia  la piena del Nilo; piangendo sul corpo di Osiride, fa salire l’acqua benefica che deposita il limo sulle rive e garantisce vita e prosperità al Paese.

Nell'Egito antico i ciuffi di papiro che emergono dal fiume sono la chioma della Grande Dea.

La magia cosmica di Iside nasce dalla sua conoscenza dei misteri dell’Universo.

Non c’era niente che Iside ignorasse, eccetto il nome segreto di Ra che costui non aveva riferito a nessuno, nemmeno alle altre divinità.

Iside non si arrese; voleva conoscere anche il nome segreto di Ra.

Adottò uno stratagemma per costringere Ra a rivelarglielo; raccolse uno sputo del dio e lo impastò con la terra dando forma a un serpente.

Nascose il rettile magico dietro ad un cespuglio situato sul cammino di Ra e quando questi passò di lì, il serpente lo morse ad un piede.

Il cuore di Ra bruciò, tremò e il suo corpo divenne freddo.

Ra era inattaccabile dalla morte ma il veleno gli inflisse un’atroce sofferenza e nessuno riusciva a guarirlo.
Il dio soffriva. Immerso nel suo dolore era incapace a fare qualunque cosa.

Fu Iside a chiedere a Ra di curarlo ed egli accettò…... ma Iside chiese che in cambio il dio le rilevasse il suo nome segreto.

Il dio del Sole e della Luce tentò di agire con astuzia dicendogliene parecchi, ma mai quello vero.

Iside, perspicace ed acuta non si lasciò prendere in giro e lo lasciò nel suo dolore.

Alla fine Ra, sfinito, stanco e sofferente fu costretto a rivelarle il suo nome segreto; Iside lo guarì….
E mantenne il segreto.

La nascita di Iside è situata simbolicamente  a Dendera, nell’Alto Egitto.

Secondo i testi la dea è venuta al mondo con al pelle rosa e la chioma nera.

 La madre era la dea del cielo Nut, mentre Amon, il dio nascosto e Shu, l’aria luminosa le hanno dato il soffio vitale.

Vittoriosa sulla  morte, Iside sopravvisse all’estinzione della civiltà egizia.

Nel mondo ellenistico, fino al V secolo d.C., il suo culto ebbe un ruolo fondamentale e si diffuse, quindi, in tutti i paesi del bacino del Mediterraneo e anche oltre.

E’ Inanna per i Sumeri, Ishtar per gli Accadi, Anat ad Ugarit, Atargatis in Siria, Artemide-Diana a Efeso, Baubo a Priene, Aphrodite-Venere a Cipro, Rea o Dictinna a Creta, Demetra ad Eleusi, Orthia a Sparta, Bendis in Tracia, Cibele a Pessinunte, Ma in Cappadocia,  Bellona-Cibele a Roma.

La dea divenne la protettrice di numerose confraternite iniziatiche, più o meno ostili al cristianesimo, che la consideravano il simbolo dell’onniscienza, detentrice del segreto della vita e della morte e in grado di garantire la salvezza ai suoi fedeli.

Esempio fu la città di Parigi.

Prima della nascita della città, Parigi era un “castro” romano.

Nel “castro”, un accampamento permanente, s’innalzava un tempio a Iside.
A detta degli storici questo tempio sorgeva dove  oggi si trova l’abbazia di Saint-Germain des  Près.

La regione sulla quale sorgeva il  castro romano veniva denominata, “Vicino al Tempio di Iside”, par-Isi, che sarebbe poi diventata “Parisis”- “Paris”.

Nell’agosto del 1793, quattro anni dopo la Rivoluzione francese,  sul luogo dove sorgeva la ben nota prigione della Pastiglia, venne eretta una grandiosa fontana; la “Fontana della Rigenerazione”, conosciuta anche come “Iside della Bastiglia”.



Si trattava di una statua della dea egizia Iside progettata da Jacques-Louis David, con l’acqua che zampillava dai capezzoli.

Era il liquido della “rigenerazione” che simboleggiava il nuovo ordine sociale e religioso della Repubblica francese; la folla beveva l’acqua quasi in delirio.

Nel maggio del  1814, dopo 25 anni dalla Rivoluzione Francese, fu collocato sul trono lo statista Talleyrand con il nome di Luigi XVIII , alla sua morte  il trono passò a suo fratello, il conte d’Artois, che prese il nome di Carlo X.

Entrambi i re erano massoni ed entrambi manifestarono una spiccata preferenza per il simbolismo dell’antico Egitto nelle loro opere pubbliche, e a questo proposito  Carlo X  fece portare a Parigi, intatto, un antico obelisco egizio, un elemento di una coppia che si trovava davanti al tempio di Luxor in Egitto.

Ora quel obelisco si trova ancora in Francia, in place de la Concorde, a Parigi.

Iside non esigeva soltanto una semplice devozione; per conoscerla, i suoi adepti dovevano praticare l’ascesi, non accontentarsi della fede, ma salire la scala della conoscenza e superare i diversi gradi dei misteri.

Unendo in sé il passato, il presente e il futuro, Iside, la madre celeste dell’amore infinito, fu a lungo una concorrente temibile del cristianesimo.

Ma nemmeno il dogma riuscì ad annientare l’antica dea;  Iside non si nasconde forse sotto le vesti della Vergine Maria, non prende forse il nome di “Nostra Signora”, alla quale sono dedicate tante cattedrali e tante chiese?

Con il primo vero affermarsi del Cristianesimo nell' Impero Romano sotto imperatori come Costantino I e Teodosio I,  a Roma e nei domini, vari templi consacrati ad Iside furono riadattati e consacrati come basiliche dedicate alla Vergine Maria, così come furono a volte modificati i dipinti e le opere raffiguranti la dea egizia. 

Tutto questo ha sicuramente aiutato l'accomunarsi delle due figure di fede a livello iconografico.

L’iconografia della Vergine con Bambino, ha quindi un’origine ben precisa: il culto della dea egiziana Iside, spesso rappresentata mentre allatta il bambino Horus.

Il culto è talmente simile alla Madonna col Bambino che nei secoli, ha ricevuto l'adorazione d’inconsapevoli cristiani.

Questa serie di icone, quadri e rappresentazioni aveva anche un nome latino ben definito: Madonna lactans o Virgo Lactans o Madonna del Latte.

Addirittura per un certo periodo  si diffuse l’uso di serbare con cura nelle chiese come reliquie, boccette contenenti il latte della Madonna (il Sacro Latte), cui si attribuivano gli effetti miracolosi di ridare il latte alle puerpere che lo avessero perso e di far rimanere gravide le donne.

E’ ragionevole supporre che già l'arte paleocristiana si sia ispirata alla raffigurazione classica di Iside per rappresentare la figura di Maria: la somiglianza in vari dipinti si ritrova per esempio nei tratti delicati ed eterei, nel tenere entrambe in braccio un infante, che è Horus per Iside e Gesù Bambino nel caso della Madonna.

Nella statua della Madonna di Castelmonte, provincia di Udine, la Madonna non solo è nera, ma ha anche il seno destro scoperto nella posa di dare il latte al figlio.

Sono stati tanti i grandi maestri a cimentarsi nella serie iconografica della Madonna del Latte.

Il caso più famoso  si chiama “Dittico di Melun”, un dipinto su due tavole di Jean Fouquet risalente al 1450. 

Un’opera che era stata commissionata per la Cattedrale della cittadina francese di Melun.



Il pannello di destra, quello più aderente all’iconografia della Madonna del latte, mostra la Vergine in trono che scopre un seno per allattare il Bambino, circondata da uno stuolo di cherubini blu e serafini rossi. 

Il dipinto è bellissimo, oltre che estremamente sensuale.



In questo campo si cimentarono anche Leonardo Da Vinci (Madonna Litta),  Robert Campin, (Madonna del parafuoco), Jan van Eyck (Madonna di Lucca),  Giovenone (Trittico Raspa), Andrea Pisano e Nino Pisano (Madonna del Latte) e il  Correggio, (Madonna del Latte e un angelo).

Numerose Madonne Nere sparse in tutta Europa, di cui una presente anche nella nostra regione, nel santuario mariano di Castelmonte, sono forse da ricondurre al culto di Iside, la Grande Madre.

Un'operazione nota come "sincretismo", la stessa per cui agli dèi del condomblè brasiliano, una religione afro-brasiliana, sono state associate le immagine dei Santi cattolici importate dai missionari, così Iside, la Grande Madre pagana avrebbe assunto il volto di Maria, colorato però di nero, come quello delle sue antiche raffigurazioni.
Le immagini delle Vergini Nere indicherebbero dunque i luoghi particolarmente legati alla Grande Madre, gli stessi su cui, da sempre, gli uomini costruiscono i loro edifici sacri.





Vergini nere sono disseminate nelle chiese di tutta Europa; in Italia se ne trovano quarantuno; in Francia addirittura novantasei.

Le più famose sono quelle della cattedrale gotica di Chartres, chiamata Notre-Dame-sous-Terre, in Italia Loreto, in Spagna Montserrat, in Polonia Czestochowa.


E’ evidente che nel culto della Madonna rivive in modo concreto il culto pagano di Iside, che fu per due secoli la "Santa Madre" del mondo antico.

Iside "che tutto vede e tutto può, stella del mare, diadema della vita, donatrice di legge e redentrice" era la donna divinizzata.

Veniva rappresentava anche come una giovane donna, coronata da una falce di luna crescente, col figlioletto Horus tra le braccia. 

Gli attributi e gli appellativi con cui era nominata la grande dea Iside erano così numerosi che nei geroglifici viene chiamata « la dea dai molti nomi », « la dea dai diecimila nomi » e nelle iscrizioni greche  “la dea dalle miriadi di nomi ».

Nei diecimila nomi della dea Iside, troviamo:   
abile nel calcolo, nella scrittura, alto faro di luce, produttrice e dispensatrice di vita, comprensiva, consacrata, colei che abbraccia la terra, dea della rugiada, gentile, gioia, maga che guarisce, madre di dio, madre divina, mediatrice tra il cielo e la terra,  salvatrice dell’umanità, stella del mattino, sovrana del mondo, sposa di Dio,  protettrice dei marinai, ovvero Stella Maris.

Iside era la  Signora dell’"Ank",  Chiave della Vita, e dei meccanismi rigenerativi che presiedono alla sua perpetuazione.

I sapienti egizi la mostravano con il geroglifico che raffigurava il simbolo del potere sacro: il "Trono", posto sulla testa della Dea.

Una civiltà si modella su un mito o un insieme di miti.

Mentre nel mondo giudaico-cristiano la figura di  Eva è quanto meno “dubbia”, priva di spessore e di potere, da ciò si deduce l’innegabile e drammatica condizione di minorità spirituale delle donne inquadrata in questo clero: nell’universo egizio le cose stavano ben diversamente.

La donna non era fonte di alcun male né di alcuna corruzione della coscienza, anzi, era stata lei, attraverso la grandiosa figura di Iside, ad affrontare le peggiori prove e a scoprire il segreto della resurrezione.

Modello per le regine, Iside lo fu anche per le spose, le madri e le donne più umili.

Alla fedeltà univa un coraggio incrollabile di fronte alle avversità, un’intuizione fuori dal comune e la capacità di penetrare il mistero.

La sua ricerca serviva da esempio a tutti colori che tentavano di vivere per l’eternità.

Molte regine dell'antico Egitto si identificavano con la Grande Dea Iside. 


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