venerdì 30 novembre 2012

CIVILTA' EGIZIA - AKHENATON, IL FARAONE RIBELLE

Il Regno del Faraone Amenofi (Amenhotep IV – Akhenaton, 1369 -1352 a.C.) circa, scosse le fondamenta dell'antico Egitto.  Poco tempo dopo essere salito al trono, il faraone sostituì le antiche divinità egizie con il culto di un solo Dio, Aton, il Sole.

Akhenaton, fu il decimo faraone della XVIII dinastia.

 

 Akhenaton, assieme alla sua bellissima moglie Nefertiti, abbandonò Tebe (l’attuale Luxor), l’antica capitale sulle rive del Nilo, sacra al dio Amon, dove si ergeva maestoso il tempio di Karnak, dedicato appunto al dio Amon.

 

Akhenaton fondò una nuova capitale, Amarna, in un tratto di deserto lungo il Nilo, 300 Kilometri più a nord.

 

Per decreto reale soppresse i grandi centri di potere che erano gli immensi templi, come quello di Karnak, con le loro vaste proprietà, ridimensionando il potere della casta sacerdotale che aveva acquisito, nel corso degli anni, molta autorità politica e smisurate ricchezze.

Quest’atto non fu gradito alla casta sacerdotale fedele al dio Amon-Ra.

 

La nuova religione del dio unico, Aton, fu imposta per legge a tutto l’Egitto.

Ad Amarna, il faraone e la sua meravigliosa consorte Nefertiti adoravano il dio Sole in vasti cortili illuminati dai suoi raggi, simbolo di vita, che penetravano in ogni anfratto.

 

Il faraone appassionato per la sua nuova fede, cambiò il proprio nome Amenofi in quello di Akhenaton (“Colui che piace ad Aton”), e quello della città di Amarna in Akehtaton (Orizzonte di Aton”), in onore al suo dio Aton.

 

Akhenaton-nefertiti-e-figli1

 

Alcuni storici considerano il faraone Akhenaton come il pioniere del monoteismo e grande difensore della pace, dell’amore e della creatività artistica.

Altri lo considerano soltanto un pazzo, fanatico con ossessioni mistiche che con il suo disinteresse alle campagne militari e alla diplomazia causò danni immensi all’Egitto.

 

Amenothep IV-Akhenaton, era differente fisicamente da tutti i faraoni che l’avevano preceduto. Con le sue labbra sporgenti, la testa sproporzionata e allungata in corrispondenza della nuca, fianchi larghi e ventre dilatato (come si può vedere dai bassorilievi e dalle statue che sono pervenute fino a noi) il faraone, pur dimostrando un volto volitivo ed enigmatico, non era fisicamente una bellezza.

L’arte dell’epoca sembra esasperare quelli che noi potremmo chiamare difetti fisici del faraone, quasi a esaltarne la sua unicità.

 

E Akhenaton fu davvero un faraone unico!

 

Aton era rappresentato come disco solare, di solito con l’ureo come insegna del suo potere e i suoi raggi terminano in mani che estendono ai sudditi il suo favore.

 

I motivi di questa riforma non erano esclusivamente di origine religiosa; è possibile che il faraone intendesse ridimensionare la troppo potente casta sacerdotale per favorire una riforma della amministrazione che fino a quel momento era stata nelle mani dei sacerdoti.

 

Oltre alla religione il faraone ribelle modificò lo stile della sua raffigurazione. Prese chiaramente le distanze dall’ideale di perfezione che fino allora il faraone incarnava, lasciando che lo si rappresentasse con la nuca sporgente e con il suo corpo, dalle forme rotonde e vagamente femminili che era qualcosa d’inusuale.

Qualcuno ha pensato che queste deviazioni della norma rispecchiassero deformità presenti nel corpo del faraone o una malattia di cui questi soffrisse, ma non ci sono prove a sostegno di questa tesi.

 

Parametri nuovi rispetto al tradizionale repertorio di raffigurazioni sono i quadretti familiari in cui si vedono le figliolette del faraone che giocano, o tre di loro sedute in compagnia dei genitori, mentre il disco solare di Aton illumina con i suoi raggi la famiglia reale.

 

Il regno di Akhenaton durò diciassette anni e non sappiamo nulla di come morì o dove fu sepolto.

Dopo la sua morte i sacerdoti e i seguaci degli antichi dei deposti riconquistarono il potere.

 

 Il suo successore fu Tutankhaton (che aveva sposato una delle figlie di Akhenaton), cambiò il suo nome in Tutankhamon, riportando quindi sul trono il vecchio dio Amon-Ra e fece ritorno nella vecchia capitale di Tebe assieme alla sua famiglia e alla corte.

 

Proprio come Akhenaton aveva pianificato la distruzione degli antichi dei, il suo successore, o forse il corpo sacerdotale, si accanì contro la memoria di Akhenaton e contro Aton.

La capitale di Amarna e i templi dedicati al dio Aton furono distrutti o furono ridedicati agli antichi dei e le raffigurazioni del re vennero cancellate a colpi di scalpello.

 

Le accuse che gli si rivolsero furono le più gravi che si potessero muovere contro il faraone: aveva governato “senza Maat”, quindi contro l’ordine divino, ed era stato perciò un vero danno per l’Egitto.

 

Raffigurazioni di Akhenaton e della sua famiglia ci sono pervenute fino a noi per puro caso: pitture tombali, rilievi su pietra usati nelle fondazioni di nuovi templi, o resti di opera di scultura, come la famosa testa della moglie di Akhenaton, Nefertiti, che oggi si può ammirare in un museo di Berlino.

 

La regina Nefertiti indossa un ampio collare colorato e una corona blu attorno cui è legata una benda. Sopra la fronte c’è un ureo, insegna del potere regale, ma è stato rotto.

Il busto fu trovato tra le rovine di una bottega di scultore ed è probabilmente servito da modello per altri lavori.

 

Il busto della regina Nefertiti è il più famoso tra quelli prodotti dall’arte egizia, esso incarna l’ideale di bellezza senza tempo.

 

Nefertiti1

 

 

Le origini della regina Nefertiti, come molti altri aspetti della sua vita, sono avvolte nel mistero, ma la sua avvenenza è fuori di ogni dubbio.

 

Il nome Nefertiti significava “è giunta la bellissima”, e il faraone, che sembra provasse per la regina un sentimento molto simile alla devozione, la chiamava la “Signora della felicità” o “Signora di grazia”. Ma Nefertiti non aveva solo un ruolo ornamentale in famiglia.

 

Sembra fosse costantemente al fianco di suo marito, il faraone Akhenaton e le raffigurazioni che si sono salvate dalla furia dei sacerdoti di Amon-Ra, lo dimostrano.

 

Nel dodicesimo anno di regno del faraone Akhenaton avvenne qualcosa alla “Signora di grazia”. Il nome Nefertiti scomparve dalle iscrizioni sui monumenti; da quell’anno in poi il suo nome non è più menzionato. Si presume che morì.

 

La sua tomba, come quella del faraone Akhenaton non è mai stata ritrovata fino a oggi.

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giovedì 29 novembre 2012

RELIGIONE EGIZI: ISIDE E OSIRIDE


La religione egizi comincia così:
Un giorno tra gli dei d’Egitto furono celebrate doppie nozze. Iside andò sposa a Osiride con grande gioia perché ne era innamorata, Nefti diventò la moglie di Seth, fratello di Osiride, che non amava, ma accettò perché non sarebbe mai stata capace di ribellarsi, docile e remissiva com’era.

Osiride, il primogenito di Geb (dio della Terra) e Nut (dea del Cielo), fu designato a regnare sull’Egitto.
E fu un grande re.

La religione egizi si base sulla Trinità: Osiride, Iside, Horus.
 
Osiride insegnò agli uomini a coltivare la terra, a rispettare le leggi di Maat, a pregare gli dei e dette via a un periodo di pace e splendore per l’intero Egitto.
Iside addolorata




Viaggiava spesso per l’Egitto per controllare che i sudditi vivessero secondo le sue istruzioni ed era Iside a governare in sua assenza; quando Osiride tornava dai suoi viaggi si organizzavano feste e banchetti in suo onore, si brindava con birra e vino a fiumi.

Seth era molto invidioso. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di annientare il fratello e prenderne il posto sul trono d’Egitto, ma sapeva che Iside (grande di magia) vegliava su Osiride e che sarebbe stato molto difficile fare del male al re.
Poi il destino gli venne in aiuto. 
La religione egizi vede la regina Iside allontanarsi dalla reggia per qualche giorno e Seth preparò un piano malvagio.

In fretta e furia fece scolpire una splendida cassa di legno, la portò a palazzo reale, mentre si stava
svolgendo un banchetto per festeggiare il ritorno di Osiride da uno dei suoi soliti viaggi, e disse ai presenti:
“Un artista sconosciuto ha fabbricato questo capolavoro per donarmelo, ma io sono disposto a cederlo a chiunque dimostrerà di potersi sdraiare dentro comodamente”.

La cassa era veramente bellissima, fatta di legno d’ebano, lucido e scuro con intarsi d’avorio, e furono in molti a tentare di coricarsi. Nessuno ci riuscì: chi era troppo alto, chi troppo basso, chi troppo magro, chi troppo grasso.
Tentò anche Osiride.

La cassa sembrava fatta proprio per la sua misura, davvero perfetta. Ed era stata fatta proprio per lui da suo fratello Seth con la complicità di un servo di Osiride che rubò le vesti al re.

Osiride sorrideva soddisfatto, coricato nella splendida cassa scolpita e pensava a collocarla all’interno del suo palazzo, quando, rapidissimi, due complici di Seth ne sigillarono il pesante coperchio con il piombo fuso e la gettarono nel Nilo.

Seth si proclamò subito re e nessuno, conoscendo la sua perfidia e la sua sete di potere, osò contrastarlo. Finalmente Seth aveva raggiunto il suo scopo sognato da anni.

Quando Iside tornò dal suo viaggio e seppe della fine del suo sposo, si disperò, ma volle recuperare almeno le spoglie. Vagabondò per tutto l’Egitto chiedendo a tutti quelli che incontrava se avessero visto la cassa dentro la quale giaceva Osiride.

Ma nessuno sapeva darla una risposta. Nessuno aveva visto niente.

Intanto la cassa con dentro Osiride era stata spinta dalla corrente vicino a una città fenicia e una tempesta l’aveva scaraventata su un alberello che cominciò a crescere rapidamente intorno racchiudendola e nascondendola in un abbraccio di legno.

L’albero crebbe talmente tanto e divenne tanto bello che tutti i passanti si fermavano a guardare quella bellezza e quando ritornavano nei loro paesi d’origine, lo descrivevano come un’autentica meraviglia.

Il re della città fenicia venne a sapere di questa meraviglia e volle visitarlo. Anch’egli lo trovò straordinariamente bello e massiccio tanto che lo fece abbattere da cento boscaioli per fare con il suo tronco la colonna principale del suo palazzo.

Cento artigiani scolpirono nel legno del tronco una bellissima colonna che fu posta a sorreggere il tetto del palazzo.

Intanto Iside, nel suo peregrinare, aveva scoperto che il corpo di suo marito Osiride era nascosto nella colonna di legno. Andò al palazzo del re e gli raccontò tutta la storia chiedendogli la colonna, ma il re si rifiutò di dargliela. Allora Iside ricorse alle sue arti magiche e fece ammalare, di una misteriosa malattia, l’unico figlio maschio che il re amava moltissimo.

Il re e la regina erano disperati; avevano paura di perdere il loro unnico figlio maschio. Quando la situazione si fece disperata la dea si presentò a corte dicendo ai sovrani che lei poteva guarire il bambino, ma ad una condizione.

Il re era disposto a darle tutto quello che voleva perché per lui nulla era più caro della vita di suo figlio.

Iside volle la colonna che sorreggeva il tetto del palazzo; il re acconsentì senza indugi. Al suo posto fece erigere una grande colonna di marmo e sostituì quella in legno che consegnò a Iside.
Per prima cosa la dea guarì il bambino, poi estrasse la cassa dalla colonna e tornata in Egitto, ruppe i sigilli dal piombo che la chiudevano. Osiride era intatto ma senza vita.

Iside nella religione egizi, poteva dare la vita ma anche la morte.
Iside pianse tutte le sue lacrime e tentò di resuscitarlo; questa volta i suoi poteri magici non le furono di aiuto. Non si perse d’animo, qualcosa avrebbe trovato, intanto doveva nascondere il corpo di Osiride in un luogo segreto dove il maligno Seth non lo ritrovasse.

Scelse le paludi intorno al delta del Nilo, pensando che un posto come quello fitto di canneto e paludi fosse inaccessibile. Ma si sbagliava.
Seth scoprì presto il nascondiglio. Nel cuore della notte mentre Iside dormiva si impadronì del corpo del fratello e lo divise in 14 pezzi che sparpagliò per l’intero Egitto.

Al risveglio la dea scoprì quello che era accaduto, si disperò, pianse, ma non si arrese, avrebbe lottato ancora per amore del suo Osiride.
Quello stesso giorno si mise alla ricerca dei pezzi del corpo del suo sposo e lo ricompose, ma neanche questa volta riuscì a resuscitarlo perché i suoi poteri potevano resuscitare gli uomini ma non gli dei.

Allora, al culmine della sua disperazione, pregò il dio Ra che ebbe pietà di lei e le inviò il guardiano della soglia, Anubi, dio dalla testa di sciacallo che l’aiutò ad imbalsamare il corpo di Osiride perché non si decomponesse mai.

Anubi, toccato dal profondo amore di Iside per suo marito, le volle fare un ultimo dono; per una notte Osiride sarebbe tornato in vita per generare un figlio, quello che diventerà il legittimo re d’Egitto, il successore di Osiride che, vendicando il padre, regnerà nei secoli.

Immediatamente il corpo di Osiride prese vita, si liberò delle bende, si alzò in piedi più bello di prima.

Quella notte Iside e Osiride concepirono un figlio, Horus, poi Osiride morì di nuovo e questa volta per sempre, ma, da morto, ebbe un altro trono importante come quello che aveva occupato in vita; divenne il signore dell’oltretretomba, il giudice supremo dei defunti.

La dea Iside viene assimilata alla stella Sirio o Sothis, per i greci, che segue sempre la costellazione di Orione-Osiride nel cielo estivo.
Quando, durante il solstizio d’estate sorge Sirio-Sothis, il Nilo si gonfia sempre più di acqua fino alla tracimazione e con le sue acque ridà la vita all’Egitto.

La religione egizi credevano che la terra fosse un'espressione del cielo.
Lo spettacolo del cielo notturno nel deserto egiziano è una cosa meravigliosa.
La Via Lattea appare in tutta la sua bellezza; è talmente carica di stelle che i loro ammassi sembrano nelle nubi.
Le costellazioni circumpolari, cioè quelle che non tramontano mai. Come la Grande Orsa-Grande Carro o, come la chiamavano gli antichi Egizi, la Coscia del Toro brilla di una luce inverosimile.
Le notti nel deserto sono rischiarate dalle stelle che sembrano diamanti conficcati nella notte.

Se vuoi vedere il cielo stellato come non lo hai mai visto, vieni con noi nel deserto egiziano, il tuo cuore si riempirà di gioia e di stupore, mentre, disteso sulla sabbia ti lasci accarezzare dal chiarore delle stelle e cullare dal fresco vento notturno.


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martedì 27 novembre 2012

TOMBE DEI FARAONI: LE MUMMIE

Le mummie sono corpi conservati di persone o animali morti che si trovano nelle tombe dei faraoni.

La parola mummia, originariamente fu coniata per definire le salme avvolte in bendaggi nelle tombe dei faraoni, della civiltà degli antichi Egizi.

In senso più ampio, però, qualsiasi cadavere che abbia conservato la pelle è una mummia.

Se al momento della morte o della sepoltura si verificano determinate condizioni, le salme possono mummificarsi, cioè conservarsi, in modo naturale.

Questo può accadere nei luoghi umidi e paludosi, dove la torba conserva bene i corpi, al freddo rigido delle alte quote, nelle regioni polari o nei deserti caldi e secchi. Più spesso tuttavia i cadaveri si mantengono per disidratazione, essicazione, in climi asciutti e ventilati come nelle tombe dei faraoni.

Molte culture hanno messo a punto un metodo particolare, detto imbalsamazione, in grado di produrre artificialmente questo risultato che si può vedere molto bene nelle tombe dei faraoni.
     

sarcofago regina Ahhotep XVIII dinastia

   

Gli antichi Egizi sono famosi per i loro sofisticati metodi di imbalsamazione e per complessi riti e usi funebri.
 La mummificazione ha un significato religioso, legato alla speranza della continuazione della vita dopo la morte.

La conservazione del corpo del defunto in modo che rimanga riconoscibile è quindi legata alla credenza della rinascita e di una vita migliore nell’oltretomba.

Gli antichi Egizi credevano che l’anima lasciasse il corpo al momento della morte. 
Dopo la sepoltura l’anima si sarebbe riunita al corpo e la mummia avrebbe continuato a vivere  nell’altro mondo. Perché ciò potesse accadere, il corpo doveva essere ben conservato con appositi sistemi.

Veniva quindi avvolto in bende e deposto in un sarcofago, solitamente di legno, nelle tombe dei faraoni.

La morte per gli antichi Egizi, è un passaggio verso la seconda vita. “Sarai come Ra, sorgerai e tramonterai in eterno” recita il Libro dei Morti.

La mummificazione prepara il defunto, uomo o animale che sia, ad affrontare il viaggio verso l’aldilà.

“Camminerai sulle tue gambe fino alla dimora dell’eternità….Le tue mani potranno reggere per conto tuo fino al luogo della durata infinita”, così prosegue il Libro dei Morti che veniva recitato dai sacerdoti davanti alla mummia del re, nelle tombe dei faraoni.

L’essere vivente consiste in un supporto materiale, il corpo, al quale sono legati gli elementi immateriali: il BA, che corrisponde più o meno all’anima o alla personalità; il KA, che si può definire come “energia vitale” o “doppio eterico”.

La morte separa questi tutti questi elementi.

Per poter iniziare la “seconda” vita è necessario che il corpo si ricongiunga con gli elementi spirituali che lo animavano. Il corpo deve quindi essere preservato.

A ogni tappa della mummificazione le formule magiche rassicurano il defunto sulla sua integrità corporale. La distruzione del corpo comporta il più grave dei rischi: la morte definitiva, la scomparsa, l’annientamento. Sembra essere proprio questo timore all’origine della pratica della mummificazione in uso fin dall’Antico Regno di collocare nelle tombe dei sovrani e dei nobili delle riproduzioni del defunto, statue o teste di riserva in legno o terracotta, per sostituire il corpo deteriorato o mal conservato.

Si potrebbe pensare, tenuto conto delle pratiche e dei monumenti funebri che sono pervenuti fino a noi, che gli antichi Egizi accordassero poca importanza alla vita. Non è così: a tutte le epoche essi l’hanno considerata come il bene più prezioso: “la tua felicità ha più peso della tua vita futura”, recita una iscrizione funeraria del Nuovo Regno.

La morte per gli antichi Egizi rappresentava un semplice passaggio tra due vite e al contempo come un termine, come l’accesso al “luogo da cui non si torna indietro”.

Durante l’Antico Regno solo il sovrano sembra godere di un destino privilegiato. 

Secondo il mito stellare, egli deve raggiungere le “stelle fisse”, le circumpolari e vivere tra gli dei con i quali si identifica. 

Secondo le credenze solari, egli accompagna il sole nella sua corsa attraverso l’”oceano celeste” e partecipa alla rinascita quotidiana dell’astro.

Durante il nuovo Regno il mondo dei morti è ormai visto come una dimora sotterranea sulla quale regna Osiride. 

Questo dio incarna la funzione regale, la forza che governa la vegetazione (alle volte si trovano delle pitture o delle statue di Osiride dipinto di verde) e il perpetuarsi della vita.

Anch’egli ha sperimentato la morte (ucciso dal fratello Seth) e la resurrezione grazie alla dea Iside, sorella e moglie, per questo egli è il dio dei Morti.

Dopo vari rituali e passaggi, il re defunto è pronto per compiere il viaggio nel mondo sotterraneo.

Lo accompagna in questo viaggio il Libro dei Morti, che sottoforma di papiro arrotolato viene deposto nella bara, sulla mummia o in un contenitore usato come base di una statua di Osiride.

 Il papiro, ampiamente illustrato costituisce una sorta di mappa dell’aldilà. 

Ci sono dei tranelli, dei pericoli da evitare, dei mostri da sconfiggere; un mondo popolato da creature mostruose.

Il defunto deve conoscere le formule magiche che gli consentiranno di superare ogni ostacolo e di giungere nel regno dei beati. 

Dopo essere stata imbalsamata e avvolta in bende, la mummia viene deposta in un sarcofago interno, che potevano essere più di uno, a loro volta inseriti in un sarcofago esterno.

Gli antichi Egizi credevano che essi proteggessero magicamente il corpo. 

Erano decorati con motivi ispirati ai testi religiosi e con iscrizioni di formule magiche e incantesimi che avevano lo scopo di aiutare lo spirito della mummia nel suo pericoloso cammino nell’oltretomba.

Meravigliose statue venivano collocate nelle tombe per motivi religiosi, soprattutto del dio Anubi, dalla testa di sciacallo o cane selvatico. Anubi era la divinità della mummificazione, guardiano delle soglia e protettore delle tombe soprattutto delle tombe dei faraoni.

 

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lunedì 26 novembre 2012

LA VITA NEL DESERTO DEL SAHARA

Generazioni di cacciatori, allevatori, pescatori e guerrieri hanno affidato alle rupi del Sahara il compito di tramandare il ricordo della fauna arcaica, delle mandrie numerose, delle barche slanciate, dei carri al galoppo e delle gesta coraggiose. Senza la loro opera, senza queste pitture che si sono protratte per millenni, l’idea che il deserto del Sahara fosse stato un tempo abitato e prospero sarebbe apparsa come una favola, uno scherzo, anzi, non sarebbe stato nemmeno concepibile.

 

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Molte raffigurazioni adornano le rocce che affiorano qua e là nel deserto. Realizzate da popoli ormai scomparsi, risalgono fino a ottomila anni fa e più.

Le antiche pitture rupestri e le incisioni rappresentano un Sahara ricco di vegetazione, una fertile savana pullulante di vita.

 

Questi disegni sono sorprendenti. Vi sono raffigurati animali come elefanti, giraffe, gazzelle, ippopotami e persone che si tuffano da un’altura in un ipotetico lago.

Nei dipinti appare per la prima volta la palma, senza alcun dubbio di una specie selezionata e curata, a dimostrazione che la sua coltura era attuata già nel primo millennio.

 

Si trovano graffiti di sandali, legati forse a riti di scongiuro e di ex-voto, indicanti la necessità di purificazione con l’abluzione dei piedi, ancora oggi in uso tra gli abitanti del Sahara o rappresentati quali oggetto di prestigio e di considerazione. Nell’antico Egitto i sandali, bene di lusso, non venivano usati durante il viaggio, ma portati a mano o appesi a un bastone e indossati solo al momento dell’arrivo.

E’ straordinario pensare che ci fosse tanta vita nel deserto del Sahara.

A quei tempi il deserto era diverso; era molto più ricco di acqua.

 

Nella zona di Gilf el Kebir, a cavallo tra le frontiere dell’Egitto, della Libia e del Sudan.  si trova una delle maggiori attrattive dei nostri viaggi nel deserto: una grotta, detta dei nuotatori, ricca di pitture rupestri che mostrano persone che giocano, che si tuffano e molti animali, soprattutto mucche. La grotta è stata scoperta dal Conte Almassy (film, Il paziente inglese) nel 1933 nel wadi da lui chiamato Soura, che significa “delle pitture”.

 

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Il nostro viaggio si snoda attraverso un’antica zona vulcanica, i crateri Clayton che si formarono grazie a delle eruzioni di gas.

 Nella Karkur Talh o „Valle dell’Acacia “ entriamo nell’area di Gebel Uwainat.  Qui si trovano le montagne più incredibili e più spettacolari, le Uweinat che sono fatte di alcune delle più antiche rocce Africane. 

A Jabal Uweinat, sono stati scoperti alcuni petroglifi che indicano che la zona una volta era verdeggiante e fertile.

Il ricercatore Robert Bouval, che sta studiando la zona e che ha pubblicato il libro “la genesi nera”, ha trovato le tracce di una rotta che da Abu Simbel s’inoltrava verso est, proprio verso Jabal Uweinat, per centinaia di chilometri nel deserto.


L'importanza di questa scoperta sta nel fatto che, secondo Bouval, non vi era un’apparente ragione per mantenere funzionante, con tanto di preziosissime stazioni per l'acqua, questo collegamento se la meta non avesse rivestito una grande importanza, ben maggiore di una direzione commerciale.

L'ipotesi di Bauval è che le terre di origine degli antichi egizi si trovassero nell'Africa centrale, e che Jabal Uweinat fosse solamente un punto di passaggio.

 

Questa teoria afrocentristica è però sostenuta anche da un altro elemento, la scultura della Sfinge.

Lo studioso, John Anthony West, scrittore ed egittologo autodidatta chiese la collaborazione di Frank Domingo, un tenente del Dipartimento di polizia giudiziaria di New York, famoso per la sua abilità nel disegnare ritratti per verificare se la testa della Sfinge fosse o no da attribuire al faraone Chefren o, invece, alla dinastia dei faraoni neri. Domingo realizzò due esemplari di un possibile identikit del faraone.


Confrontando i disegni con la statuaria di Chefren e la Sfinge, Domingo e West dovettero convenire che la Sfinge non aveva nulla in comune con Chefren e che il volto aveva dei tratti somatici tipicamente negroidi.

 

Gli archeologi hanno scoperto altri indizi dell’epoca in cui il deserto del Sahara non era un deserto.

Hanno rivenuto molte tracce fossili: pollini di piante che normalmente non si trovano nel deserto, conchiglie, lische di pesci, ossa di ippopotami, di coccodrillo e di molti altri animali che non vivono nel deserto.

 

Dal satellite si ricavano molte informazioni relative al deserto. Analizzandole si nota che il deserto del Sahara è solcato da antichi letti fluviali e costellato di fondali di laghi e paludi.

Quindi un tempo il deserto era molto più ricco di acqua che di sabbia.

 

Il deserto del Sahara tra i 5000 e i 10.000 anni fa, era un luogo da safari.

Era un ambiente ospitale e lussureggiante in grado di sostenere una popolazione numerosa.

Settemila anni fa gli antichi abitanti del Sahara iniziarono a insediarsi in piccoli villaggi e ad allevare il bestiame.

 

La diversità del deserto del Sahara in epoca preistorica è dovuta ai cambiamenti ciclici nell’inclinazione dell’asse terrestre e nell’orbita della Terra.

A causa di quei mutamenti, nel corso di milioni di anni, il deserto del Sahara è stato alternativamente, una savana o un deserto.

 

Diecimila anni or sono il deserto del Sahara era una regione verde e fertile perché era investita dai raggi solari più a lungo e più direttamente rispetto ad oggi.

Molti pensano che una maggiore irradiazione solare comporti un clima più caldo e più ricco. In realtà è esattamente l’opposto; con il calore del sole si creano nell’atmosfera correnti ascensionali che portano le piogge monsoniche.

 

In epoca preistorica nel  deserto del Sahara cadevano abbondanti piogge; l’acqua piovana poi evaporava rendendo l’aria fresca. L’umidità contenuta nella vegetazione evaporava per l’azione del calore e anch’essa contribuiva a formare nubi dense di pioggia.

 

Finché le piogge stagionali bagnarono il deserto del Sahara, le tribù di pastori poterono affidarsi alla natura che si mostrava loro benevola alleata.

Nell’arco di alcune migliaia di anni però, la situazione cambiò in modo radicale perché l’inclinazione dell’asse terrestre e l’orbita del pianeta assunsero la posizione che hanno oggi.

E oggi il Deserto del Sahara appare come una distesa arida, bruciata dal sole, ricca di sabbia, di rocce, di storia e di fascino.

 

Vieni con noi alla scoperta del deserto del Sahara egiziano.

Vieni con noi in luoghi ancora selvaggi, solitari, carichi di atmosfera e di storia.

Vieni con noi alla ricerca delle origini della storia Egizia.

 

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giovedì 22 novembre 2012

UN VIAGGIO NEL DESERTO EGIZIANO

Il deserto del Sahara emana una forza che scaturisce dalla sua vastità e un fascino che proviene dalla sua selvaggia bellezza. Il viaggio compiuto in questo paesaggio che sembra onirico, non lo si dimentica mai più.

 

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Nel deserto la natura ha creato un mondo d’incantevole desolazione, dove fin dall’età della pietra, gli uomini hanno cercato di lasciare un segno. Viaggiare in Egitto, in questi luoghi è come tornare all’origine del mondo

.

Questo posto mi piace così tanto perché nella vastità e nella solitudine del deserto, tutto è libero.

Mi dà un senso di libertà. E’ un posto meraviglioso dove vivere. Quando ci si trova nel deserto, in particolare di notte, fra le dune, circondati dall’infinito, scatta qualcosa che spinge a chiedersi qual è il nostro ruolo nell’Universo.

 

Si prova la sensazione di essere solo una minuscola particella nell’immensità del cosmo.

Non mi sono mai sentita in pace con me stessa e con il mondo come quando mi sono trovata nel deserto. Si può restare lì e non vedere anima viva per giorni. E di questi tempi è difficile!

 

Trovarsi in quel mondo apparentemente così sterile, ti fa capire una cosa: è solo un’impressione che lì non vi sia nulla, in realtà, a ben vedere, il deserto è pieno di vita.

Il deserto è un luogo davvero straordinario che può anche diventare pericoloso, se nel viaggio non ci sono guide esperte, ma è anche eccezionalmente bello.

 

Visto dallo spazio il deserto del Sahara appare come un’enorme macchia di terra bruciata sul nostro globo terrestre.

Con un’estensione di circa nove milioni di chilometri, tocca undici Stati diversi dell’Africa settentrionale e centrale, occupando un’area grande quasi l’Europa.

 

Il deserto del Sahara è vastissimo. Si può viaggiare per giorni e giorni senza incontrare nessuno sul proprio cammino.

La gente del luogo, i Tuareg, i Beduini, i Berberi, dicono che fu Allah a cancellare ogni forma di vita; alberi e vegetazione, per avere un luogo dove rimanere in pace, dove passeggiare tranquillo e meditare.

I musulmani chiamano il deserto del Sahara, il “giardino di Allah”.

In quell’immensa desolazione si sentono più vicini al divino.

 

Per tutti il deserto è un luogo ostile dove il caldo è insopportabile in estate. E’ l’ambiente più infuocato del Pianeta ma è il viaggio più bello e più intrigante.

Nel settembre del 1922 nel deserto del Sahara si toccò la temperatura record di quasi 58° C. all’ombra.

 

Le temperature possono toccare picchi elevatissimi che possono raggiungere anche i 65° C:

potreste rompere un uovo sul cofano della vostra auto e farvi una frittata, tanto è il calore!

Però, anche nel deserto del Sahara piove; è uno degli aspetti più straordinari. Possono esserci anche degli acquazzoni ma, essendo così caldo, l’acqua non raggiunge il suolo; non si sente cadere la pioggia perché essa evapora istantaneamente per il calore.

 

Nonostante il grande caldo, nel deserto soffia quasi sempre il vento. Esso spirando continuamente modella le dune, una delle caratteristiche distintive del paesaggio desertico. Alcune dune sono molto imponenti, alte come grattacieli.

 

In mezzo al deserto a volte capita di udire dei suoni cupi o dei sibili; si dice che sono le dune che “cantano”. Alcuni studiosi sono riusciti a registrare questo straordinario fenomeno.

Anch’io ho udito le dune “cantare”; è un suono simile a quello che si ottiene soffiando nel collo di una bottiglia di vetro. Naturalmente, con la forza dell’immaginazione, quei suoni possono diventare delle vere e proprie parole.

Gli arabi, infatti, credono che nel deserto vivano creature soprannaturali che si chiamano “jin”. Essi sarebbero una sorta di spiriti della natura che non si fanno mai vedere ma sussurrano alle orecchie delle persone.

 

In profondità, sotto le dune aride, è nascosta una preziosa risorsa che ha reso possibile lo sviluppo di insediamenti umani nel deserto del Sahara.

Qua e là, nella vastità del deserto, l’acqua sgorga in superficie con la sua benefica forza. Nel deserto del Sahara l’acqua non è venerata solo come fonte di vita ma anche come elisir per l’anima.

Sotto al deserto c’è una tale quantità d’acqua pari a quella dei Grandi Laghi del Nord America. Queste falde acquifere si sono formate grazie alla pioggia che da migliaia di anni si è accumulata nel sottosuolo.

 

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Nell’oasi di Siwa, in Egitto, ci sono 200 sorgenti; i contadini da secoli vi attingo l’acqua per bere, per la casa, per far da magiare e per irrigare i campi.

L’uso della stessa fonte è ripartito a turni durante il giorno. Ognuno può attingervi a ore prefissate. Grazie alle sorgenti possono innaffiare le palme da datteri e gli ulivi.

Siwa è un’oasi rigogliosa in un’immensa distesa arida; essa conserva le tracce di una storia passata molto di grande interesse.

 

Il deserto egiziano è così ricco di storia, di fascino, di mistero, di bellezza che dopo il primo viaggio, si progetta subito un altro.

Penso che come esiste un “mal d’Africa”, così esiste per me, il “mal di deserto”.

Non si può lasciar passare molto tempo fra un viaggio nel deserto e l’altro, perché la nostra anima ha bisogno di libertà, di grandi, immensi, incontaminati spazi dove poter guardare le stelle e riconnettersi al nostro passato stellare per sentirsi di nuovo figli degli Dei.

 

Proverbio della gente del deserto:

"Dio ha creato le terre con laghi e fiumi perchè l'uomo possa viverci.

E il deserto affinchè possa ritrovare la sua anima".

 

Se vuoi far parte dei nostri insoliti e straordinari viaggi nel cuore del deserto egiziano, scrivimi, contattami o seguimi sul blog.

 

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http://egitto.posterous.com/un-viaggio-nel-deserto-egiziano Il deserto del Sahara emana una forza che scaturisce dalla sua vastità e un fascino che proviene dalla sua selvaggia bellezza. Il viaggio compiuto in questo paesaggio che sembra onirico, non lo si dimentica mai più.     Nel deserto la natura ha creato un mondo d’incantevole desolazione, dove fin dal ... http://egitto.posterous.com

mercoledì 21 novembre 2012

I MISTERI DEL DESERTO DEL SAHARA

Il deserto del Sahara è un luogo carico di fascino e di storia, un mare di sabbia sotto un sole implacabile.

Nel deserto del Sahara sono accaduti molti episodi.

Uno dei più misteriosi e controversi è quello dell’esercito di Cambise, re di Persia nel IV secolo a.C.

 

Il re persiano Cambise II, figlio di Ciro il Grande, invase con il suo esercito l’Egitto nel 525 a.C. e, dopo aver sconfitto il faraone Psammetico III nella battaglia di Pelusio e dopo aver conquistato la città di Tebe, l’attuale Luxor, ordinò di dividere il suo esercito in due parti.

 

Una parte di questo esercito, ricco di 30.000 uomini si portò verso sud, per sottomettere il Regno etiope di Kush (Nubia nell’attuale Sudan settentrionale).

 

L’altro troncone dell’esercito persiano, forte di circa 40.000 uomini composti di persiani, fenici e greci, li dirottò nel deserto occidentale egiziano per raggiungere l’oasi di Siwa distante 1000 Km. per abbattere l’oracolo di Amon e sottomettere quello che restava delle armate del faraone.

 

Nell’oasi di Siwa, in piena posizione strategica, lottava ancora contro gli invasori un'unica armata egizia. L'oasi, tuttora ricca d'acqua, di palmeti da datteri, di sale, di alberi di olive e di frutta pregiata, forniva cibo e acqua sufficienti per una resistenza pressoché a tempo indeterminato in caso d' assedio.

 

La traversata del deserto doveva prendere di sorpresa le truppe egizie del presidio dell’oasi di Siwa, perché Cambise era certo che l’esercito egiziano non si aspettava che delle armate potessero provenire dal pieno deserto, attendendo più un attacco frontale dei Persiani proveniente dalla più comoda rotta che costeggiava il Mar Mediterraneo.

 

Giunti quasi a metà strada i persiani si accamparono per una sosta nel deserto, ignari del destino che li attendeva.

Qualche storico asserisce che l’armata persiana fosse mal equipaggiata, che il cibo e l’acqua fossero stati scarsi e che le guide locali l’avessero abbandonata. Ai generali non restava altro che scegliere la via più breve per giungere all’oasi di Siwa; così, con marce forzate, affamato e assetato, l’esercito persiano si trovò ad attraversare uno dei tratti più aridi e terribili del deserto occidentale egiziano.

 

La loro missione stava per fallire nel modo più tragico e imprevedibile.

Lo storico Erodoto narra di un fortissimo vento che scatenò una tempesta di sabbia di violenza e proporzioni inaudite sconvolgendo l’intero tratto di deserto.

I soldati furono letteralmente inghiottiti dal deserto.

 

 

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Il vento, portando con sé cumuli di sabbia, avrebbe così seppellito migliaia di soldati, facendoli sparire per sempre.

Gli storici non concordano sull’attendibilità del racconto, dubitando che una tempesta di sabbia possa travolgere un’intera armata di 40.000 uomini.

Ma dell’esercito di Cambise, in effetti, non fu più trovata alcuna traccia. Rimane uno dei misteri più fitti del deserto del Sahara egiziano.

 

Nel deserto del Sahara, soffia spesso il vento che mitiga un po’ le alte temperature.

Questi venti hanno nomi diversi; Harmattan, Simun, Ghibli e Khamsin. Possono raggiungere velocità di oltre 140 Km. orari, scatenando tempeste di sabbia forti come uragani, come quella appunto, stando ai racconti, seppellì l’esercito persiano di Cambise.

 

Da questo deduco che possa essere stato possibile che un vento molto forte abbia generato una specie di tornado che seppellì l’armata persiana nel 525 a.C.

Ultimamente, alcune scoperte archeologiche, portate avanti dai fratelli italiani  Alfredo e Angelo Castiglioni, nel Deserto Occidentale egiziano sembrano confermare la versione dei fatti tramandata dallo storico greco.

Il forte vento del deserto, il Khamsin, recentemente a disseppellito, nel deserto occidentale egiziano, centinaia di ossa umane, armi di bronzo, braccialetti d’argento, anfore. Questi ritrovamenti hanno  riacceso le speranze di chi vorrebbe ravvisare in questi reperti,  i resti del mitico esercito perduto di Cambise II.

I fratelli Castiglioni hanno pubblicizzato e reso ufficiale la loro scoperta, presentandola come  documentario al Festival del cinema archeologico di Rovereto.

ProverbioTuareg: “ciò che il deserto vuole, è del deserto

I nostri nuovi viaggi previsti per l’anno prossimo, includono la visita all’oasi di Siwa, e, come sempre recheremo nel deserto del Sahara egiziano: nello stupefacente deserto bianco, nel misterioso deserto nero, nel magico deserto di cristallo, nel monumentale deserto occidentale egiziano.

Per vivere una splendida avventura in tutta tranquillità e sicurezza, unisciti a noi nella scoperta di luoghi mitici e segreti.

Per info:  viaggi.laquesabe@gmail.com       o     bielefrute@hotmail.it

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