lunedì 10 dicembre 2012

FLORA E FAUNA DEL DESERTO: CAMMELLI E DROMEDARI

La flora e fauna del deserto è molto ricca nonostante si possa pensare il contrario.

Fra la flora e fauna del deserto, l'animale più caratteristico è senz'altro il cammello/dromedario.
Il cammello/dromedario a prima vista sembrerebbe una bizzarria della natura e sembrerebbe strano che un animale così grande possa appartenere alla flora e fauna del deserto..

Difatti esso ha un corpo massiccio sostenuto da gambe esili, ha le gobbe, l’andatura sgraziata e l’indole irritabile… eppure senza i cammelli il Sahara sarebbe stato molto diverso e molto meno pittoresco.

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Le atmosfere del passato di questa terra rivivono nel mercato dei cammelli che si tiene ogni mattina, nel villaggio egiziano di Birqash, appena fuori dalla città del Cairo, sulla strada che porta verso il deserto occidentale.

In questo mercato, come mille anni fa, compratori e venditori contrattano l’acquisto delle bestie più apprezzate e più ostinate   della flora e fauna del Sahara.

I cammelli un tempo erano diffusi su vaste aree della terra.

Oggi i Camelidi vivono in ambienti inospitali ed estremi, come i deserti e le alte montagne e li possiamo annoverare fra la flora e fauna dei deserti del mondo.

Esistono due specie di cammelli: il cammello battriano (Camelus bactrianus) e il dromedario (Camelus dromedarius). 
Il primo fa parte della flora e fauna dei deserti freddi dell'Asia Centrale, nelle steppe mongole e nel deserto del Gobi. 
La sua caratteristica è di avere due gobbe sul dorso, di possedere un corpo massiccio e pesante, di avere una pelliccia molto folta e le zampe e il collo sono corte rispetto al dromedario.
Diversi branchi di cammelli battriani vivono ancora allo stato selvaggio e sono difficilmente addomesticabili. 
Un tempo diffusi su vaste aree della Terra, i Camelidi vivono oggi in ambienti inospitali, come i deserti e le alte montagne.


Il dromedario, invece, lo si trova solo allo stato domestico.
A differenza del cammello battriano il dromedario ha una corporatura snella, il collo e le zampe sono lunghe, il pelo è corto e ha una gobba sola.

Che cosa hanno in comune i cammelli che vivono nei deserti dell’Asia e dell’Africa con i lama delle montagne e delle steppe sudamericane?

A prima vista sembrerebbero animali molto diversi, tuttavia hanno molte caratteristiche in comune.
Per esempio: il labbro superiore è inciso nel mezzo, hanno una particolare conformazione del piede: le dita, prive di zoccoli, aderiscono al suolo con due falangi, al cui interno uno strato di grasso funziona da ammortizzatore.

Inoltre, lo stomaco possiede tre sole camere invece delle quattro che si riscontrano nei ruminanti come i bovini. Da questo si deduce che i cammelli e i lama costituiscono una famiglia chiamata i Camelidi.

Si dice che i dromedari siano animali irritabili e sgradevoli, possono sputarti addosso, ma fortunatamente non mi è mai capitato. E mordono anche.
Anche i lama, se irritati e innervositi, reagiscono sputando addosso e mordendo. Ecco un’altra caratteristica comune dei camelidi.


I dromedari fanno queste azioni quando sono infastiditi. 

Ad esempio, se qualcuno li maltratta o quando sono in amore e vorrebbero accoppiarsi invece di trasportare bagagli e persone.
I dromedari più sono giovani e più è difficile addomesticarli. Cercano continuamente di scappare. Se vengono picchiati o costretti a fare qualcosa cominciano a scalciare e possono fare molto male.
In apparenza il legame che unisce l’uomo al cammello nel Sahara sembrerebbe forzato e tutt’altro che amichevole.
A volte però, nella quiete di una fresca serata nel deserto, si svela un rapporto diverso quasi d’affetto e il cammello ed il cammelliere si possono stringere l’uno all’altro per scaldarsi o per farsi compagnia.

Per quanto i dromedari si sentono a loro agio nel deserto, essi non sono originari del Sahara.
Furono importati dall’Asia sud-orientale nel primo secolo d.C.
In effetti la natura sembra averli creati proprio per attraversare il deserto fino a far parte con onore della sua flora e fauna.
I cammelli sono definiti “navi del deserto”. Sono abituati al clima del deserto e il Sahara è il loro habitat ideale.
Il cammello si è adattato straordinariamente bene all’ambiente desertico. La sua famosa gobba è un deposito di grasso che consente all’animale di accumulare riserve utili quando non trova pascoli freschi per lunghi periodi. 
Grazie alle zampe larghe e robuste non affonda nella sabbia del deserto. Gli occhi sono provvisti di una seconda palpebra trasparente che durante una tempesta di sabbia impedisce ai granelli e alla polvere di entrare, anche se li tiene aperti.
E’ un animale molto adattabile.
Nel sesto secolo l’utilizzo dei cammelli diede grandi vantaggi alle tribù indigene del nord Africa, conosciute come Berberi e Beduini.

Si potevano percorrere distanze più lunghe, impensabili prima con i cavalli.
Lungo le rotte si trovavano sempre delle oasi che consentivano di far abbeverare e pascolare i cammelli durante l’attraversata dell’immenso deserto.
Queste vitali stazioni di sosta erano una salvezza per animali e viandanti che rischiavano la vita viaggiando sulla sabbia infuocata.
I mercanti capirono ben presto che tra un oasi e l’altra era meglio procedere uniti per proteggersi dalle bande degli spietati predoni del deserto. 
Quelli più temuti appartenevano a una tribù berbera fiera della propria indipendenza, i Tuareg.


Se vuoi soddisfare ancora la tua curiosità, seguici sul blog o sui link dell’associazione La Que Sabe.
Se vuoi provare di persona le emozioni di una cammellata nel deserto, scrivici e unisciti a noi nei nostri straordinari viaggi nel deserto egiziano.

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sabato 8 dicembre 2012

NUOVI IPOTESI E NUOVI STUDI SU AKHENATON, IL FARAONE RIBELLE

Sembra che alla base dello scisma religioso guidato dal Faraone Amenofi IV, chiamato più comunemente Akhenaton, vi fosse in realtà la volontà da parte del Faraone stesso di ripristinare l’ordine di Maat sulla terra d’Egitto.

 

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La dea Ma’at rappresentava il principio di Giustizia, Verità e Ordine. Essa era la “coscienza cosmica”

Ma’at si contrappone al caos, perché essa è l’ordine dell’Universo stesso.

Ma Ma’at non era soltanto un principio in sé, era anche una forza che permetteva al sole di sorgere, agli astri di risplendere e all’umanità di prosperare.

 

I Faraoni Egizi dovevano garantire l’ordine; l’ordine cosmico posto alla base dell’universo esistente. L’ordine cosmico era rappresentato da Ma’at, dea della giustizia e dell’equilibrio che, per gli antichi Egizi era il bene supremo e la legge suprema alla quale tutti si dovevano conformarsi.

 

Gli antichi Egizi sarebbero inorriditi di fronte all’eventualità di un turbamento dell’ordine e il “peccato” (se così lo vogliamo chiamare)  rappresentava per loro non tanto una colpa, quanto la violazione di tale ordine posto dagli Dei.

Una violazione di tale ordine avrebbe portato a un turbamento dell’ordinato svolgersi delle cose e l’Egitto sarebbe precipitato nel caos.

 

Akhenaton è passato alla storia per aver bandito dall’Egitto il culto verso tutti gli altri dei all’infuori di Aton, il suo nuovo dio sole simboleggiato da un disco solare dal quale scendono verso il basso raggi dorati. Su alcune immagini che ci sono pervenute fino a noi, si può vedere che alla fine dei raggi spuntano delle mani.

 

Akhenaton è’considerato il precursore del monoteismo: una religione, un solo dio; il sole.

Vi sono comunque aspetti di questo Faraone che si discostano dai modelli degli altri Faraoni.

Questo re era pieno di misticismo e la sua dedizione all’ordine cosmico, a Ma’at, era totale e assoluta.

 

Tutti gli scritti dell’epoca sottolineano che Akhenaton era “ankh em maat”, “vivente in Maat”.

 

Così scrive l’egittologo inglese Cyril Aldred, “il re era la personificazione di Maat, una parola che traduciamo con “verità” o “giustizia”, ma che ha un significato più esteso, in quanto giusto ordine cosmico all’epoca della sua fondazione da parte del Creatore…. Vi è negli insegnamenti di Akhenaton un’enfasi costante su Maat….. come non si ritrova né prima né dopo di lui”.

 

Quando Amenofi IV  (il futuro Akhenaton) salì al trono nel 1353 a.C. circa, all’età probabilmente di sedici anni, egli era co-reggente insieme al suo anziano padre, il grande Amenofi III.

 

Amenofi IV non perse tempo e avviò già da subito la sua grande riforma religiosa, costruendo un tempio a Karnak dedicato ad Aton.

 

Una cauta politica di affrancamento dall'eccessiva influenza del clero tebano era stata iniziata gia' dal nonno di Amenhotep IV, Tuthmosis IV, e proseguita dal successore, il padre Amenofi III.

Possiamo immaginare il grande fastidio che questo procurò alla potente casta sacerdotale di Karnak, adoratrice di Amon-Ra.

 

Con tutta probabilità, come sostengono alcuni studiosi, Akhenaton concepì il culto di Aton come uno sviluppo connesso alla vecchia religione solare e si dichiarò Profeta di Ra-Horakhti.

Per l’egittologo tedesco Hermann Schlogl,  nei primi anni di regno di Akhneaton “il dio sole Ra-Horakhti … era identico ad Aton” e che “il nome di Aton significava letteralmente -il Vivente, Ra-Horakhti che giubila all’Orizzonte-”

 

All’epoca in cui salì al trono Akhenaton, i sacerdoti di Karnak avevano accumulato grandi ricchezze materiali attraverso le donazioni dei fedeli, la riscossione delle tasse e anche una cospicua percentuale di bottini di guerra.

 

Varie documentazioni ci danno prova che essi possedevano estesi territori e controllavano quasi interamente la vita commerciale dell’alto Egitto.

 

I sacerdoti di Karnak si lodavano che il loro dio sole, Amon, fosse la divinità assoluta dell’Egitto, avendo questi assimilato in sé i poteri e perfino i nomi dei più antichi dei solari di Eliopoli, Ra e Horakhti.

 

I simboli, la nomenclatura e l’iconografia di Amon iniziarono a diffondersi ovunque soppiantando quelli delle più antiche divinità solari eliopolitane e causando inevitabilmente uno scisma tra il Nord e il Su dell’Egitto.

 

 Con un tale potere e tali ricchezze i sacerdoti incominciarono anche a rappresentare una minaccia politica per il Faraone, perché il potere illimitato corrompe in modo assoluto.

 

A causa di questo straripante potere dei sacerdoti di Karnak la tensione fra il Faraone Akhenaton e la casta sacerdotale divenne altissima, e, in questo clima così preoccupante, possiamo immaginare che il re temesse per il suo trono e persino per la sua vita.

 

Possiamo ipotizzare che forse fu proprio a causa di questo grande potere della casta sacerdotale di Karnak a suggerire al Faraone di rivolgersi nuovamente all’epoca in cui la religione solare era nella mani dei più puri e leali sacerdoti di Eliopoli.

 

O forse il Faraone Akhenaton fu ispirato sia da Maat, la reggitrice dell’ordine cosmico, che dai timori verso i sacerdoti del tempio di Karnak.

 

Si sa per certo che Amenofi IV cambiò il suo nome in Akhenaton, che significa “la gloria di Aton”, nel quinto anno del suo regno.

 

Questo nuovo nome fece sicuramente infuriare i sacerdoti di Karnak, del tempio di Amon-Ra. Essi, forse, considerarono il cambiamento del nome da Amen-ofi, che significa “disco splendente del sole”, in Akhenaton come un affronto diretto a loro.

 

La crisi precipitò quanto Akhenaton rese noto che il culto di Amon-Ra era messo al bando in tutto l’Egitto e che il tempio di Karnak sarebbe stato ufficialmente chiuso.

 

Subito dopo egli annunciò che avrebbe trasferito se stesso e tutta la sua corte presso la nuova città che stava progettando di costruire più a nord e che sarebbe stata chiamata Akhet-Aton, “l’Orizzonte del Disco Solare”, ad alcuni chilometri a ovest dell’odierna città di Tell ed-Amarna.

 

Akhenaton proclamò che fu “suo padre” Aton in persona a scegliere quel sito per edificare la sua nuova ed eterna città del Sole.

 

Quale visione aveva convinto Akhenaton a scegliere questo luogo per edificare la città a lui comparsa in sogno?

Che cosa vide Akhenaton a Tell el-Amarna?  Che cosa lo convinse che quel luogo era il regno del dio sole?

 

I furiosi sacerdoti di Amon-Ra, intorno al 1335 a.C. rasero al suolo l’intera città. Non lasciarono in piedi nemmeno una pietra e per molti secoli non si seppe più niente di essa fino al 1798-99, quando quasi per sbaglio il francese Edmè Jomard, al seguito della spedizione napoleonica, con sua grande sorpresa, si ritrovò davanti le antiche rovine.

 

Dagli studi che seguirono alla sua scoperta, la città di Akhet-Aton doveva essere una grande metropoli, lunga dodici chilometri e larga due. Si stima che la popolazione della città, al suo massimo splendore poteva raggiungere i trentamila abitanti.

 

Il regno di Akhenaton durò all’incirca diciotto anni ed è noto come “periodo amarniano”, poiché ebbe il suo centro proprio nella città di Akhet-Aton, nei pressi dell’odierna Tel el-Amarna.

 

All’inizio si trattava di un ritorno alla religione solare di Eliopoli e del suo dio Ra-Orakhti, Ra, l’Orizzonte-Horus, molto più antica e quindi più pura e legittima.

 

Per gli antichi Egizi, come anche per altre antiche culture, era il passato e non il presente a rappresentare il modello perfetto, l’età dell’oro in cui l’ordine sociale era impregnato di qualità morali elevate, di profonde idee religiose, e soprattutto di uno stretto rispetto della legge cosmica, come testimoniano le grandi piramidi e i templi solari che si ergevano a Eliopoli. 

 

Questo è anche il periodo in cui ci fu un grande cambiamento artistico, una sorta di rinascimento egiziano.

 

Secondo l’egittologo Arthur Weigall, l’arte di Akhet-Aton può essere considerata una specie di rinascimento, un ritorno al periodo classico dei tempi arcaici; il motivo sottostante di quel ritorno era il desiderio di evidenziare la figura del re in quanto rappresentante del più antico tra tutti gli dei, Ra-Horakhti”.

 

Tutto questo fa pensare che Akhenaton vedesse se stesso, o forse il defunto padre Amenofi III che prima di lui rivolse la sua attenzione al dio sole di Eliopoli, come un dio solare di ancestrale, una sorta di messia che tornava sulla terra e che avrebbe strappato il potere dalle mani del clero corrotto di Karnak per restituirlo ai suoi veri custodi, i puri e fedeli sacerdoti di Ra-Orakhti di Eliopoli.

 

E se la motivazione nascosta di Akhenaton, la sua brillante strategia fosse stata quella di far diventare l’Egitto un regno cosmico soggetto alla legge di Maat, con l’eterno e imperturbabile ciclo del sole che faceva sì che l’astro si alternasse tra il Nord e il Sud?

 

Se questa strategia avesse avuto successo, avrebbe eliminato una disputa religiosa che durava ormai da migliaia di anni e che si stava trasformando in una pericolosa lotta politica tra il Nord e il Sud.

 

Nello stesso tempo questo avrebbe imposto all’Egitto un unico simbolo del dio sole, Aton, il disco solare visibile a tutti, la cui forma perfetta rappresentava il Creatore unico di tutte le cose e il cui unico centro religioso sarebbe venuto a trovarsi esattamente al centro, nel cuore dell’Egitto.

 

La riforma di Akhenaton non ebbe fortuna e fu un fallimento forse anche perché, nell’ambizioso progetto il Faraone aveva sottovalutato il pericolo che rappresentava la casta sacerdotale di Karnak.

 

I sacerdoti di Karnak non erano molto disposti ad abbandonare la ricchezza e il potere acquisiti per consegnarli nelle mani del Faraone Akhenaton e permettere che trasferisse la capitale a Akhet-Aton.

 

Eppure, dal suo punto di vista, Akhenaton era devoto al dio sole e “vivente in Maat”, ma al clero di Karnak non interessavano queste cose; loro desideravano solo tenere il potere religioso il più a lungo possibile, anche con pugno di ferro che aveva portato loro ricchezze illimitate.

 

Quando Akhenaton venne incoronato, il clero tebano possedeva il controllo effettivo di tutto il tesoro reale e di tutte le rendite finanziarie. Naturalmente non avevano alcuna intenzione di perdere tutto questo solo perché un mistico re diciottenne, forse pazzo, credeva di essere un messia venuto a trasformare il sistema religioso egiziano in monoteismo.

 

Anche se inizialmente tollerarono questo capriccioso re visionario, poi furono obbligati a intervenire.

Per essere equi con il giovane Faraone, dobbiamo dire che i sacerdoti impiegarono ben diciassette/diciotto anni prima di fare una contromossa per togliere il potere al re ribelle.

 

Non si hanno informazioni certe sulla morte del Faraone ribelle. La sua mummia non è ancora stata ritrovata. Forse può essere stato ucciso, ma non si sa niente in proposito.

 

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venerdì 30 novembre 2012

CIVILTA' EGIZIA - AKHENATON, IL FARAONE RIBELLE

Il Regno del Faraone Amenofi (Amenhotep IV – Akhenaton, 1369 -1352 a.C.) circa, scosse le fondamenta dell'antico Egitto.  Poco tempo dopo essere salito al trono, il faraone sostituì le antiche divinità egizie con il culto di un solo Dio, Aton, il Sole.

Akhenaton, fu il decimo faraone della XVIII dinastia.

 

 Akhenaton, assieme alla sua bellissima moglie Nefertiti, abbandonò Tebe (l’attuale Luxor), l’antica capitale sulle rive del Nilo, sacra al dio Amon, dove si ergeva maestoso il tempio di Karnak, dedicato appunto al dio Amon.

 

Akhenaton fondò una nuova capitale, Amarna, in un tratto di deserto lungo il Nilo, 300 Kilometri più a nord.

 

Per decreto reale soppresse i grandi centri di potere che erano gli immensi templi, come quello di Karnak, con le loro vaste proprietà, ridimensionando il potere della casta sacerdotale che aveva acquisito, nel corso degli anni, molta autorità politica e smisurate ricchezze.

Quest’atto non fu gradito alla casta sacerdotale fedele al dio Amon-Ra.

 

La nuova religione del dio unico, Aton, fu imposta per legge a tutto l’Egitto.

Ad Amarna, il faraone e la sua meravigliosa consorte Nefertiti adoravano il dio Sole in vasti cortili illuminati dai suoi raggi, simbolo di vita, che penetravano in ogni anfratto.

 

Il faraone appassionato per la sua nuova fede, cambiò il proprio nome Amenofi in quello di Akhenaton (“Colui che piace ad Aton”), e quello della città di Amarna in Akehtaton (Orizzonte di Aton”), in onore al suo dio Aton.

 

Akhenaton-nefertiti-e-figli1

 

Alcuni storici considerano il faraone Akhenaton come il pioniere del monoteismo e grande difensore della pace, dell’amore e della creatività artistica.

Altri lo considerano soltanto un pazzo, fanatico con ossessioni mistiche che con il suo disinteresse alle campagne militari e alla diplomazia causò danni immensi all’Egitto.

 

Amenothep IV-Akhenaton, era differente fisicamente da tutti i faraoni che l’avevano preceduto. Con le sue labbra sporgenti, la testa sproporzionata e allungata in corrispondenza della nuca, fianchi larghi e ventre dilatato (come si può vedere dai bassorilievi e dalle statue che sono pervenute fino a noi) il faraone, pur dimostrando un volto volitivo ed enigmatico, non era fisicamente una bellezza.

L’arte dell’epoca sembra esasperare quelli che noi potremmo chiamare difetti fisici del faraone, quasi a esaltarne la sua unicità.

 

E Akhenaton fu davvero un faraone unico!

 

Aton era rappresentato come disco solare, di solito con l’ureo come insegna del suo potere e i suoi raggi terminano in mani che estendono ai sudditi il suo favore.

 

I motivi di questa riforma non erano esclusivamente di origine religiosa; è possibile che il faraone intendesse ridimensionare la troppo potente casta sacerdotale per favorire una riforma della amministrazione che fino a quel momento era stata nelle mani dei sacerdoti.

 

Oltre alla religione il faraone ribelle modificò lo stile della sua raffigurazione. Prese chiaramente le distanze dall’ideale di perfezione che fino allora il faraone incarnava, lasciando che lo si rappresentasse con la nuca sporgente e con il suo corpo, dalle forme rotonde e vagamente femminili che era qualcosa d’inusuale.

Qualcuno ha pensato che queste deviazioni della norma rispecchiassero deformità presenti nel corpo del faraone o una malattia di cui questi soffrisse, ma non ci sono prove a sostegno di questa tesi.

 

Parametri nuovi rispetto al tradizionale repertorio di raffigurazioni sono i quadretti familiari in cui si vedono le figliolette del faraone che giocano, o tre di loro sedute in compagnia dei genitori, mentre il disco solare di Aton illumina con i suoi raggi la famiglia reale.

 

Il regno di Akhenaton durò diciassette anni e non sappiamo nulla di come morì o dove fu sepolto.

Dopo la sua morte i sacerdoti e i seguaci degli antichi dei deposti riconquistarono il potere.

 

 Il suo successore fu Tutankhaton (che aveva sposato una delle figlie di Akhenaton), cambiò il suo nome in Tutankhamon, riportando quindi sul trono il vecchio dio Amon-Ra e fece ritorno nella vecchia capitale di Tebe assieme alla sua famiglia e alla corte.

 

Proprio come Akhenaton aveva pianificato la distruzione degli antichi dei, il suo successore, o forse il corpo sacerdotale, si accanì contro la memoria di Akhenaton e contro Aton.

La capitale di Amarna e i templi dedicati al dio Aton furono distrutti o furono ridedicati agli antichi dei e le raffigurazioni del re vennero cancellate a colpi di scalpello.

 

Le accuse che gli si rivolsero furono le più gravi che si potessero muovere contro il faraone: aveva governato “senza Maat”, quindi contro l’ordine divino, ed era stato perciò un vero danno per l’Egitto.

 

Raffigurazioni di Akhenaton e della sua famiglia ci sono pervenute fino a noi per puro caso: pitture tombali, rilievi su pietra usati nelle fondazioni di nuovi templi, o resti di opera di scultura, come la famosa testa della moglie di Akhenaton, Nefertiti, che oggi si può ammirare in un museo di Berlino.

 

La regina Nefertiti indossa un ampio collare colorato e una corona blu attorno cui è legata una benda. Sopra la fronte c’è un ureo, insegna del potere regale, ma è stato rotto.

Il busto fu trovato tra le rovine di una bottega di scultore ed è probabilmente servito da modello per altri lavori.

 

Il busto della regina Nefertiti è il più famoso tra quelli prodotti dall’arte egizia, esso incarna l’ideale di bellezza senza tempo.

 

Nefertiti1

 

 

Le origini della regina Nefertiti, come molti altri aspetti della sua vita, sono avvolte nel mistero, ma la sua avvenenza è fuori di ogni dubbio.

 

Il nome Nefertiti significava “è giunta la bellissima”, e il faraone, che sembra provasse per la regina un sentimento molto simile alla devozione, la chiamava la “Signora della felicità” o “Signora di grazia”. Ma Nefertiti non aveva solo un ruolo ornamentale in famiglia.

 

Sembra fosse costantemente al fianco di suo marito, il faraone Akhenaton e le raffigurazioni che si sono salvate dalla furia dei sacerdoti di Amon-Ra, lo dimostrano.

 

Nel dodicesimo anno di regno del faraone Akhenaton avvenne qualcosa alla “Signora di grazia”. Il nome Nefertiti scomparve dalle iscrizioni sui monumenti; da quell’anno in poi il suo nome non è più menzionato. Si presume che morì.

 

La sua tomba, come quella del faraone Akhenaton non è mai stata ritrovata fino a oggi.

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giovedì 29 novembre 2012

RELIGIONE EGIZI: ISIDE E OSIRIDE


La religione egizi comincia così:
Un giorno tra gli dei d’Egitto furono celebrate doppie nozze. Iside andò sposa a Osiride con grande gioia perché ne era innamorata, Nefti diventò la moglie di Seth, fratello di Osiride, che non amava, ma accettò perché non sarebbe mai stata capace di ribellarsi, docile e remissiva com’era.

Osiride, il primogenito di Geb (dio della Terra) e Nut (dea del Cielo), fu designato a regnare sull’Egitto.
E fu un grande re.

La religione egizi si base sulla Trinità: Osiride, Iside, Horus.
 
Osiride insegnò agli uomini a coltivare la terra, a rispettare le leggi di Maat, a pregare gli dei e dette via a un periodo di pace e splendore per l’intero Egitto.
Iside addolorata




Viaggiava spesso per l’Egitto per controllare che i sudditi vivessero secondo le sue istruzioni ed era Iside a governare in sua assenza; quando Osiride tornava dai suoi viaggi si organizzavano feste e banchetti in suo onore, si brindava con birra e vino a fiumi.

Seth era molto invidioso. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di annientare il fratello e prenderne il posto sul trono d’Egitto, ma sapeva che Iside (grande di magia) vegliava su Osiride e che sarebbe stato molto difficile fare del male al re.
Poi il destino gli venne in aiuto. 
La religione egizi vede la regina Iside allontanarsi dalla reggia per qualche giorno e Seth preparò un piano malvagio.

In fretta e furia fece scolpire una splendida cassa di legno, la portò a palazzo reale, mentre si stava
svolgendo un banchetto per festeggiare il ritorno di Osiride da uno dei suoi soliti viaggi, e disse ai presenti:
“Un artista sconosciuto ha fabbricato questo capolavoro per donarmelo, ma io sono disposto a cederlo a chiunque dimostrerà di potersi sdraiare dentro comodamente”.

La cassa era veramente bellissima, fatta di legno d’ebano, lucido e scuro con intarsi d’avorio, e furono in molti a tentare di coricarsi. Nessuno ci riuscì: chi era troppo alto, chi troppo basso, chi troppo magro, chi troppo grasso.
Tentò anche Osiride.

La cassa sembrava fatta proprio per la sua misura, davvero perfetta. Ed era stata fatta proprio per lui da suo fratello Seth con la complicità di un servo di Osiride che rubò le vesti al re.

Osiride sorrideva soddisfatto, coricato nella splendida cassa scolpita e pensava a collocarla all’interno del suo palazzo, quando, rapidissimi, due complici di Seth ne sigillarono il pesante coperchio con il piombo fuso e la gettarono nel Nilo.

Seth si proclamò subito re e nessuno, conoscendo la sua perfidia e la sua sete di potere, osò contrastarlo. Finalmente Seth aveva raggiunto il suo scopo sognato da anni.

Quando Iside tornò dal suo viaggio e seppe della fine del suo sposo, si disperò, ma volle recuperare almeno le spoglie. Vagabondò per tutto l’Egitto chiedendo a tutti quelli che incontrava se avessero visto la cassa dentro la quale giaceva Osiride.

Ma nessuno sapeva darla una risposta. Nessuno aveva visto niente.

Intanto la cassa con dentro Osiride era stata spinta dalla corrente vicino a una città fenicia e una tempesta l’aveva scaraventata su un alberello che cominciò a crescere rapidamente intorno racchiudendola e nascondendola in un abbraccio di legno.

L’albero crebbe talmente tanto e divenne tanto bello che tutti i passanti si fermavano a guardare quella bellezza e quando ritornavano nei loro paesi d’origine, lo descrivevano come un’autentica meraviglia.

Il re della città fenicia venne a sapere di questa meraviglia e volle visitarlo. Anch’egli lo trovò straordinariamente bello e massiccio tanto che lo fece abbattere da cento boscaioli per fare con il suo tronco la colonna principale del suo palazzo.

Cento artigiani scolpirono nel legno del tronco una bellissima colonna che fu posta a sorreggere il tetto del palazzo.

Intanto Iside, nel suo peregrinare, aveva scoperto che il corpo di suo marito Osiride era nascosto nella colonna di legno. Andò al palazzo del re e gli raccontò tutta la storia chiedendogli la colonna, ma il re si rifiutò di dargliela. Allora Iside ricorse alle sue arti magiche e fece ammalare, di una misteriosa malattia, l’unico figlio maschio che il re amava moltissimo.

Il re e la regina erano disperati; avevano paura di perdere il loro unnico figlio maschio. Quando la situazione si fece disperata la dea si presentò a corte dicendo ai sovrani che lei poteva guarire il bambino, ma ad una condizione.

Il re era disposto a darle tutto quello che voleva perché per lui nulla era più caro della vita di suo figlio.

Iside volle la colonna che sorreggeva il tetto del palazzo; il re acconsentì senza indugi. Al suo posto fece erigere una grande colonna di marmo e sostituì quella in legno che consegnò a Iside.
Per prima cosa la dea guarì il bambino, poi estrasse la cassa dalla colonna e tornata in Egitto, ruppe i sigilli dal piombo che la chiudevano. Osiride era intatto ma senza vita.

Iside nella religione egizi, poteva dare la vita ma anche la morte.
Iside pianse tutte le sue lacrime e tentò di resuscitarlo; questa volta i suoi poteri magici non le furono di aiuto. Non si perse d’animo, qualcosa avrebbe trovato, intanto doveva nascondere il corpo di Osiride in un luogo segreto dove il maligno Seth non lo ritrovasse.

Scelse le paludi intorno al delta del Nilo, pensando che un posto come quello fitto di canneto e paludi fosse inaccessibile. Ma si sbagliava.
Seth scoprì presto il nascondiglio. Nel cuore della notte mentre Iside dormiva si impadronì del corpo del fratello e lo divise in 14 pezzi che sparpagliò per l’intero Egitto.

Al risveglio la dea scoprì quello che era accaduto, si disperò, pianse, ma non si arrese, avrebbe lottato ancora per amore del suo Osiride.
Quello stesso giorno si mise alla ricerca dei pezzi del corpo del suo sposo e lo ricompose, ma neanche questa volta riuscì a resuscitarlo perché i suoi poteri potevano resuscitare gli uomini ma non gli dei.

Allora, al culmine della sua disperazione, pregò il dio Ra che ebbe pietà di lei e le inviò il guardiano della soglia, Anubi, dio dalla testa di sciacallo che l’aiutò ad imbalsamare il corpo di Osiride perché non si decomponesse mai.

Anubi, toccato dal profondo amore di Iside per suo marito, le volle fare un ultimo dono; per una notte Osiride sarebbe tornato in vita per generare un figlio, quello che diventerà il legittimo re d’Egitto, il successore di Osiride che, vendicando il padre, regnerà nei secoli.

Immediatamente il corpo di Osiride prese vita, si liberò delle bende, si alzò in piedi più bello di prima.

Quella notte Iside e Osiride concepirono un figlio, Horus, poi Osiride morì di nuovo e questa volta per sempre, ma, da morto, ebbe un altro trono importante come quello che aveva occupato in vita; divenne il signore dell’oltretretomba, il giudice supremo dei defunti.

La dea Iside viene assimilata alla stella Sirio o Sothis, per i greci, che segue sempre la costellazione di Orione-Osiride nel cielo estivo.
Quando, durante il solstizio d’estate sorge Sirio-Sothis, il Nilo si gonfia sempre più di acqua fino alla tracimazione e con le sue acque ridà la vita all’Egitto.

La religione egizi credevano che la terra fosse un'espressione del cielo.
Lo spettacolo del cielo notturno nel deserto egiziano è una cosa meravigliosa.
La Via Lattea appare in tutta la sua bellezza; è talmente carica di stelle che i loro ammassi sembrano nelle nubi.
Le costellazioni circumpolari, cioè quelle che non tramontano mai. Come la Grande Orsa-Grande Carro o, come la chiamavano gli antichi Egizi, la Coscia del Toro brilla di una luce inverosimile.
Le notti nel deserto sono rischiarate dalle stelle che sembrano diamanti conficcati nella notte.

Se vuoi vedere il cielo stellato come non lo hai mai visto, vieni con noi nel deserto egiziano, il tuo cuore si riempirà di gioia e di stupore, mentre, disteso sulla sabbia ti lasci accarezzare dal chiarore delle stelle e cullare dal fresco vento notturno.


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martedì 27 novembre 2012

TOMBE DEI FARAONI: LE MUMMIE

Le mummie sono corpi conservati di persone o animali morti che si trovano nelle tombe dei faraoni.

La parola mummia, originariamente fu coniata per definire le salme avvolte in bendaggi nelle tombe dei faraoni, della civiltà degli antichi Egizi.

In senso più ampio, però, qualsiasi cadavere che abbia conservato la pelle è una mummia.

Se al momento della morte o della sepoltura si verificano determinate condizioni, le salme possono mummificarsi, cioè conservarsi, in modo naturale.

Questo può accadere nei luoghi umidi e paludosi, dove la torba conserva bene i corpi, al freddo rigido delle alte quote, nelle regioni polari o nei deserti caldi e secchi. Più spesso tuttavia i cadaveri si mantengono per disidratazione, essicazione, in climi asciutti e ventilati come nelle tombe dei faraoni.

Molte culture hanno messo a punto un metodo particolare, detto imbalsamazione, in grado di produrre artificialmente questo risultato che si può vedere molto bene nelle tombe dei faraoni.
     

sarcofago regina Ahhotep XVIII dinastia

   

Gli antichi Egizi sono famosi per i loro sofisticati metodi di imbalsamazione e per complessi riti e usi funebri.
 La mummificazione ha un significato religioso, legato alla speranza della continuazione della vita dopo la morte.

La conservazione del corpo del defunto in modo che rimanga riconoscibile è quindi legata alla credenza della rinascita e di una vita migliore nell’oltretomba.

Gli antichi Egizi credevano che l’anima lasciasse il corpo al momento della morte. 
Dopo la sepoltura l’anima si sarebbe riunita al corpo e la mummia avrebbe continuato a vivere  nell’altro mondo. Perché ciò potesse accadere, il corpo doveva essere ben conservato con appositi sistemi.

Veniva quindi avvolto in bende e deposto in un sarcofago, solitamente di legno, nelle tombe dei faraoni.

La morte per gli antichi Egizi, è un passaggio verso la seconda vita. “Sarai come Ra, sorgerai e tramonterai in eterno” recita il Libro dei Morti.

La mummificazione prepara il defunto, uomo o animale che sia, ad affrontare il viaggio verso l’aldilà.

“Camminerai sulle tue gambe fino alla dimora dell’eternità….Le tue mani potranno reggere per conto tuo fino al luogo della durata infinita”, così prosegue il Libro dei Morti che veniva recitato dai sacerdoti davanti alla mummia del re, nelle tombe dei faraoni.

L’essere vivente consiste in un supporto materiale, il corpo, al quale sono legati gli elementi immateriali: il BA, che corrisponde più o meno all’anima o alla personalità; il KA, che si può definire come “energia vitale” o “doppio eterico”.

La morte separa questi tutti questi elementi.

Per poter iniziare la “seconda” vita è necessario che il corpo si ricongiunga con gli elementi spirituali che lo animavano. Il corpo deve quindi essere preservato.

A ogni tappa della mummificazione le formule magiche rassicurano il defunto sulla sua integrità corporale. La distruzione del corpo comporta il più grave dei rischi: la morte definitiva, la scomparsa, l’annientamento. Sembra essere proprio questo timore all’origine della pratica della mummificazione in uso fin dall’Antico Regno di collocare nelle tombe dei sovrani e dei nobili delle riproduzioni del defunto, statue o teste di riserva in legno o terracotta, per sostituire il corpo deteriorato o mal conservato.

Si potrebbe pensare, tenuto conto delle pratiche e dei monumenti funebri che sono pervenuti fino a noi, che gli antichi Egizi accordassero poca importanza alla vita. Non è così: a tutte le epoche essi l’hanno considerata come il bene più prezioso: “la tua felicità ha più peso della tua vita futura”, recita una iscrizione funeraria del Nuovo Regno.

La morte per gli antichi Egizi rappresentava un semplice passaggio tra due vite e al contempo come un termine, come l’accesso al “luogo da cui non si torna indietro”.

Durante l’Antico Regno solo il sovrano sembra godere di un destino privilegiato. 

Secondo il mito stellare, egli deve raggiungere le “stelle fisse”, le circumpolari e vivere tra gli dei con i quali si identifica. 

Secondo le credenze solari, egli accompagna il sole nella sua corsa attraverso l’”oceano celeste” e partecipa alla rinascita quotidiana dell’astro.

Durante il nuovo Regno il mondo dei morti è ormai visto come una dimora sotterranea sulla quale regna Osiride. 

Questo dio incarna la funzione regale, la forza che governa la vegetazione (alle volte si trovano delle pitture o delle statue di Osiride dipinto di verde) e il perpetuarsi della vita.

Anch’egli ha sperimentato la morte (ucciso dal fratello Seth) e la resurrezione grazie alla dea Iside, sorella e moglie, per questo egli è il dio dei Morti.

Dopo vari rituali e passaggi, il re defunto è pronto per compiere il viaggio nel mondo sotterraneo.

Lo accompagna in questo viaggio il Libro dei Morti, che sottoforma di papiro arrotolato viene deposto nella bara, sulla mummia o in un contenitore usato come base di una statua di Osiride.

 Il papiro, ampiamente illustrato costituisce una sorta di mappa dell’aldilà. 

Ci sono dei tranelli, dei pericoli da evitare, dei mostri da sconfiggere; un mondo popolato da creature mostruose.

Il defunto deve conoscere le formule magiche che gli consentiranno di superare ogni ostacolo e di giungere nel regno dei beati. 

Dopo essere stata imbalsamata e avvolta in bende, la mummia viene deposta in un sarcofago interno, che potevano essere più di uno, a loro volta inseriti in un sarcofago esterno.

Gli antichi Egizi credevano che essi proteggessero magicamente il corpo. 

Erano decorati con motivi ispirati ai testi religiosi e con iscrizioni di formule magiche e incantesimi che avevano lo scopo di aiutare lo spirito della mummia nel suo pericoloso cammino nell’oltretomba.

Meravigliose statue venivano collocate nelle tombe per motivi religiosi, soprattutto del dio Anubi, dalla testa di sciacallo o cane selvatico. Anubi era la divinità della mummificazione, guardiano delle soglia e protettore delle tombe soprattutto delle tombe dei faraoni.

 

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