domenica 11 maggio 2014

Come si diventava faraoni.
incoronazione del faraone


Diventare faraone significa salire al trono con la cerimonia di consacrazione, un prodigio rituale paragonabile ai “misteri” medievali.
A essa prende parte l'intero Egitto, che in questo modo partecipa alla creazione del suo Re, incarnazione vivente del dio Horo che riceve l'eredità dal padre Osiride.
All'incoronazione sono presenti gli dei, le dee e le province d'Egitto.
Al momento della sua incoronazione, il faraone è presentato alle divinità ancestrali che siedono nei loro templi e vegliano sul corretto svolgimento della cerimonia.
L'atto centrale della consacrazione è l'incoronazione: il re riceve due corone.
La prima è rossa, simbolo del Basso Egitto, la seconda è bianca, simbolo dell'Alto Egitto.
Horo e Seth, gli dei patroni delle Due Terre, consacrano il re trasmettendogli la vita.
In questo preciso momento si compie l'atto di “legare il Doppio Paese”, di unire nuovamente il Sud e il Nord, di ristabilire l'unità che si era spezzata con la morte del faraone precedente.
Con l'incoronazione è ritornata la felicità. Se il rito propriamente detto si è compiuto nel segreto del tempio, fuori il popolo esulta.
Gli antichi egizi amavano le feste, in cui il sacro si accompagnava a manifestazioni di gioia che si traducevano in banchetti e grandi bevute, del tutto naturali in un paese che praticava la coltura della vite.
Quando il re, cinto della doppia corona, appariva per la prima volta al suo popolo, era paragonato a un astro.
Ciò che si celebrava non era l'individuo, ma il principio che esso incarnava,
Non si conosceva infatti, o lo si conosceva poco, l'uomo che incarnava il ruolo di monarca, ma si constatava che il faraone era di nuovo presente sul trono.
Il faraone viene incoronato, la giustizia scaccia l'ingiustizia, Maat è ristabilita, i pianeti riprendono il loro corso naturale nel cielo: si apre una nuova era.
La buona novella viene diffusa nel paese.
Si liberano quattro oche selvatiche in direzione dei quattro punti cardinali perchè ognuna di loro annunci che è stato consacrato il faraone e che tutto è ormai giusto e perfetto.
L'amministrazione più prosaicamente , notifica ai responsabili delle provincie l'avvento di un nuovo sovrano. Gli scribi preparano messaggi, che devono ricevere l'impronta del sigillo personale del faraone, il quale, nel primo anno di governo, farà il giro del regno.
Il re è ora insediato sul “trono di Horo dei vivi”, uno scanno dallo schienale piuttosto basso, di forma cubica. Sui lati, il simbolo dell'unione del Doppio Paese: il giunco e il papiro annodati assieme.
La trasmissione di legittimità, era matrilineare.
Niente impediva, del resto, che una donna fosse regina d'Egitto: se ne conoscono parecchi esempi, il più famoso è quello di Hatshepsut.
Ogni faraone riceve la protezione di un dio che venera in modo particolare.
Questi aiuta il re a svolgere il suo compito e il re lo ringrazia prendendosi cura dei suoi templi e dei suoi sacerdoti.
Poichè il dio permette dl re di sconfiggere i nemici, il re, in cambio, ne abbellisce i templi senza badare a spese.
Al nome del faraone si faceva seguire una formula di cortesia con valore magico, “vita, salute, forza”.
La vita dei re egizi non era uguale a quella degli altri detentori di un potere monarchico, i quali fanno quel che vogliono senza dover rendere conto a nessuno; anzi, l'intero comportamento era determinato da prescrizioni di legge, non solo in ordine agli atti della pubblica giurisdizione, ma anche in merito alla vita di tutti i giorni e alle forme di alimentazione.
Ad esempio: al loro servizio non c'era un solo schiavo, né acquistato per denaro né nato nel palazzo, ma tale incombenza spettava per intero ai figli dei sacerdoti più importanti: erano tutti sopra i vent'anni... Le ore del giorno e della notte erano programmate in modo che sempre il re dovesse fare ciò che prescriveva la legge di Maat e non ciò che voleva.
Il termine “faraone” deriva da un'espressione egizia che significa “grande dimora”, con cui si designava il palazzo del sovrano.

 (tratto da “l'Egitto dei grandi faraoni” di Christian Jacq)


 il faraone, assieme agli dei, lega il Basso e l'Alto Egitto










 

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domenica 13 aprile 2014

IL RUOLO DEL FARAONE NELL'ANTICO EGITTO
 
Faraone che offre agli Dei

Per l'Egitto, all'origine di tutto c'è il Mito, cioè la storia vera, secondo il ricercatore Mircea Eliade.
Ogni faraone situa il suo primo anno di regno nel tempo primordiale, ogni nuovo regno inizia con l'anno 1 di una nuova era.
Non conta tanto la data, ma l'inserimento del faraone in un ordine cosmico.
Ciò che importa, peri faraoni, è celebrare la storia del loro popolo come una festa, una comunione con la natura e con gli dei.
Tacciare l'Egitto di “conservatorismo politico”, perchè non è continuamente agitato da fermenti e sussulti sociali, significa misconoscere il valore della tradizione sacra come forza di rinnovamento perenne.
Dalle iscrizioni risulta evidente che i faraoni avevano coscienza di vivere nel “tempo degli dei”, nel “tempo degli antenati” e di restaurare “la prima volta”: tutte le espressioni che indicano l'origine della vita, il paradiso perduto continuamente ritrovato.
Le liste reali iniziano con il Regno degli dei; poi vengono quelle dei semidei, degli esseri di luce e, infine, dei servitori di Horo, predecessori del primo re umano, Menes.
Per gli antichi egizi tutto ciò non è pura leggenda, bensì il modo migliore di affermare che la regalità ha origine nel divino e che il modello al quale ogni faraone si riferisce è di ordine sovrumano.
La società faraonica, raggruppata e organizzata attorno al suo re-dio, trarrà tutte le conseguenze possibili da tale principio.
La storia dell'antico Egitto, così come viene scritta oggi, presenta notevoli zone d'ombra. Su trenta dinastie noi ne conosciamo solo un terzo, e parzialmente, la cui storia possa essere presentata con un minimo di precisione. I periodi così detti “intermedi” sono i periodi più oscuri.
Il concetto di dinastia, apparentemente rassicurante, non deve infatti trarre in inganno. In realtà non sappiamo perchè si passi da una dinastia all'altra, né conosciamo i criteri che regolano la durata della dinastia: la XVIII dinastia è lunghissima, mentre la XXVIII comprende un solo re e la VII probabilmente non esiste neppure.
A queste difficoltà se ne aggiunge un'altra, dovuta alla mentalità egizia stessa.
Preoccupati dall'eternità, i faraoni ci hanno lasciato in eredità solo ciò che consideravano essenziale: i templi e le tombe.
Le città, i villaggi, le case private non venivano costruite in “pietra eterna” ma con materiali deteriorabili. Di essi non si è conservato quasi nulla, il che ci priva di preziosi reperti archeologici da cui ricavare notizie sulla realtà quotidiana dell'antico Egitto. Fortunatamente sulle pareti delle tombe si trovano numerose “scene di vita privata” anche se spesso il significato simbolico trascende il loro aspetto materiale.............
L'aspetto fondamentale della civiltà egizia è l'istituzione faraonica. Se non si tiene conto di questo è difficile capire o interpretare la storia egizia.
L'istituzione faraonica faceva vivere a la società, modellava la mente, l'anima, la sensibilità degli antichi egizi.
Qualsiasi paragone con una società che si basi su criteri totalmente diversi non può portare a nulla.
Ora, l'antico Egitto, nella sua infinita saggezza, non ha mai avuto un unico libro sacro, un libro rivelato che desse una risposta a tutto. A ogni grande città corrispondeva una teologia specifica.
L'unica cosa valida per tutti è che il sovrano è al centro del pensiero egizio, al centro della storia, al centro della società.
Il faraone è un discendente degli dei che regnano in cielo e in terra. In quanto dio egli stesso riceve l'eredità dei suoi gloriosi antenati sul quale deve vegliare come fosse il più prezioso dei tesori:la terra d'Egitto.
Il faraone viene designato dal dio RA, mentre è ancora nell'”uovo”, secondo l'espressione egizia.
Questa alchimia solare mira a creare un essere di luce che, stando ai miti teogonici (i quali trattano del concepimento e della nascita della divinità) sarà il frutto dell'unione di un dio e di una donna mortale.
Ne consegue che non si deve mai considerare l'azione del faraone da un punto di vista puramente profano.
Nell'antico Egitto, non esiste separazione fra il tempio e il palazzo e non si può parlare della religione come distinta dallo Stato. La religione egizia, infatti, non è una dottrina paragonabile al cattolicesimo o all'Islam.
Non ha credo né dogmi, ma si basa su miti, simboli e riti.
I sacerdoti non devono né istruire il popolo né essere missionari. Essi si considerano specialisti del sacro, saggi che conservano la vita manipolando l'energia divina nei laboratori del tempo. Il maestro di tutto loro, il più qualificato, è il faraone.
La religione non è dunque imperniata sulla preghiera solitaria che, in Egitto, rappresenta solo un fenomeno secondario.
L'attività religiosa è un dovere fondamentale dello Stato, la sua ragione d'essere, essa determina le strutture politiche, sociali ed economiche.

FARAONE E SACERDOTE

I legami del faraone con il cosmo sono essenziali: per gli uomini egli rappresenta il sole, i cui raggi penetrano dappertutto. Scaccia le tenebre dall'Egitto e sente tutto ciò che viene detto, perchè ha milioni di orecchie; vede tutto, perchè la sua vista è più penetrante dell'astro del giorno.
Depositario della forza vitale, il faraone è l'unico interprete della volontà divina. Tale potenza non gli conferisce un potere dispotico, ma lo rende responsabile della vita materiale e spirituale del suo regno. Organizzando i riti, egli permette alle stagioni di alternarsi secondo le leggi del cosmo, all'inondazione di venire a fecondare l'Egitto, al sole sorgere.
Molti faraoni furono, del resto, veri e propri sapienti nel campo della religione e della simbologia. Sappiamo che frequentavano le biblioteche sacre alla ricerca degli annali degli antenati per conformarsi ai principi della saggezza destinati a guidare la loro condotta.
Poichè l'azione religiosa era considerata un mezzo di intervento sul mondo, era indispensabile che il faraone fosse un uomo di Conoscenza. In quanto capo del governo, il re continua a esercitare un ruolo di tipo sacerdotale, perché i suoi alti funzionari devono “far salire Maat”, l'armonia cosmica, a lui.
In altre parole, devono rispettare la verità nei loro resoconti affinché il re mantenga la giustizia. Guardiano delle leggi non scritte, il faraone è il sole, mentre il suo primo ministro, il visir, è paragonato alla luna: di conseguenza nella concezione della gerarchia amministrativa predomina l'accento religioso e cosmico.

I doveri religiosi del faraone si traducono nel rinnovo e nella realizzazione dei templi. Gli dei, per esercitare la loro influenza sulla terra, hanno bisogno di una dimora. Sta al re edificarla, perché vi si celebrino i culti e i riti. In realtà il faraone è l'unico sacerdote. E' per questo che viene rappresentato sulle pareti dei templi. Tale immagine vivente si incarna nel corpo di un sacerdote che compirà o gesti sacri nel nome del Re. Il tempio non è soltanto indispensabile come entità religiosa ma anche come ingranaggio economico fondamentale. Ogni santuario produce, organizza e distribuisce le ricchezze del paese. L'Egitto va dunque vissuto spiritualmente e materialmente al tempo stesso.
E' fondamentale per il paese essere governato da un faraone dotato di potere effettivo. Quando la benefica influenza del sovrano si attenua, quando il trono vacilla, l'Egitto conosce periodi bui. Gli dei non proteggono più, l'economia di indebolisce. Per organizzare, centralizzare, distribuire tanto le energie divine quanto quelle materiali, si rivela indispensabile un potere centrale forte e coerente.

Contro l'anarchia e il disordine, il faraone egizio dispone, è vero, di armi più concrete, quali sono l'esercito e la polizia, ma ricorre anche alla magia.
Protetto dal dio falco, il re, che porta appesa al perizoma una coda di toro, regna su diversi distretti, chiamati nomos, e il cui essere viene simboleggiato da emblemi magici, è una sintesi di forza animali, umane e cosmiche. Non viene forse paragonato ad un leone che ruggisce, a uno sciacallo che percorre in un baleno tutta la terra, a un fuoco, a un temporale, a una tempesta? Ha nel cuore Sia, l'intelligenza e nella sua vita risiede Hu, la saggezza, il verbo creatore: è questa la ragione per cui le parole pronunciate dal re diventano subito realtà. Tutto ciò che il cuore del sovrano desidera, si realizza. La sua lingua è una bilancia e le sue labbra sono più esatte dell'asta di quest'ultima. E' stato lui a tracciare la pianta dei templi, facendosi guidare dalle stelle del cielo, dalla dea Sesat, moglie di Thot.


Questa dimensione magica del faraone spiega il suo successo nelle imprese di guerra. Dotato di eccezionale coraggio, egli non teme alcun nemico. Protetto dagli dei, che gli donano la forza di vincere, egli riesce sempre a mettersi sotto i piedi i “nove archi”, ovvero i paesi stranieri. In realtà, il faraone, garante di un cosmo, impedisce alle forze del nulla di distruggere l'opera da lui intrapresa. Nelle guerre condotte dall'Egitto, le scene di battaglia rappresentate sulle pareti dei templi sono espliciti al riguardo. Colui che sconfigge le tenebre, la disarmonia, il caos, è un re solare, un monarca che incarna l'ordine del mondo. In un certo senso, il faraone strega il nemico per pacificarlo...................

Tratto dal libro “L'Egitto dei grandi faraoni” di Cristian Jacq


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martedì 1 aprile 2014


 LA CULTURA EGIZIA ED IL SUO RAPPORTO CON LE STELLE



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Il mondo degli antichi egizi era regolato da un ordine cosmico chiamato Maat, che non era altro che l’ordine visibile in cielo, rappresentato dai cicli osservabili, precisi e prevedibili del Sole, della Luna e delle stelle.
Gli antichi egizi possedevano una fede incrollabile nel fatto che questo ordine cosmico influisse sul mondo materiale ed umano sottostante, specialmente per quanto riguardava il cruciale straripamento annuale del Nilo, dal momento che nulla li affascinava, li intimidiva e li spaventava di più della piena del Nilo, che iniziava alla fine di giugno e terminava alla fine di settembre.
Si trattava di un miracolo annuale che rigenerava i raccolti e la vita di tutto l’Egitto. Una piena insufficiente a giugno, avrebbe causato carestia e pestilenza.
Questa la ma a doppio taglio che incombeva perennemente sulla Terra d’Egitto costringeva coloro che abitavano lunghe le rive del grande fiume a fare ricorso ad espedienti magici per assicurare ogni volta che l’inondazione fosse “buona”.
Sin dai primordi della loro civiltà essi si accorsero che alla fine di marzo le stelle della costellazione di Orione e di Sirio scomparivano al di sotto dell’orizzonte occidentale dopo il tramonto, rimanendo nell’”oltretomba” per un certo periodo di tempo (circa tre mesi) prima di riemergere all’alba al di sopra dell’orizzonte orientale verso la fine di giugno, proprio quando le acque del Nilo iniziavano a sollevarsi.
Durante questo cruciale periodo in cui le stelle soggiornavano nell’”oltretomba”, i sacerdoti-astronomi notarono anche che il Sole viaggiava lungo l’eclittica da un punto situato immediatamente al di sotto del luminosissimo ammasso stellare delle Pleiadi (corrispondente all’equinozio di primavera) fino ad un punto più lontano appena al di sotto del petto del Leone celeste, il segno del Leone appunto (corrispondente al solstizio d’estate), sfiorando nel suo tragitto la costellazione di Orione e la stella Sirio.
Cominciò allora a formarsi l’idea che percorrendo quella particolare porzione di cielo, da essi chiamata Duat, il Sole compisse un rituale magico, una sorta di via Crucis, che avrebbe portato alla rinascita delle stelle e a quella del Nilo quando, alla fine di giugno, Sirio fosse riapparso all’alba al di sopra dell’orizzonte orientale.
Tale evento astronomico si verificava inoltre il giorno del solstizio d'estate, il momento in cui il Sole raggiunge la sua massima declinazione nord, che venne giustamente considerato il primo giorno dell'anno e chiamato, tra le altre cose, “la Nascita di Ra”, il dio sole.
Una mitologia e una religione celeste si svilupparono attorno all'osservazione dei cicli del Nilo e degli astri ed è interessante notare che intorno al 2800 a.C. iniziò a delinearsi gradualmente un piano ambizioso per “abbassare”, portare sulla terra, letteralmente, l'ordine cosmico in modo tale che il faraone, il figlio di Ra sulla Terra, potesse intraprendere il medesimo magico viaggio in un Duat terreno assicurando così all'Egitto una “buona” inondazione.
Un detto ermetico afferma: “Così in alto, così in basso”.
A tal fine venne attuato un massiccio progetto pangenetico che implicò la costruzione in siti predeterminati di gruppi di piramidi “stellari” rappresentanti Orione e le Pleiadi, e di grandi templi solari collocati su entrambe le sponde del Nilo indicanti quella parte dell'eclittica lungo la quale il dio sole viaggiava attraverso il Duat dall'equinozio di primavera al solstizio d'estate.
I lenti mutamenti ciclici osservabili nel paesaggio cosmico, causati dalla precessione e dalla peculiarità del calendario civile egizio nel corso dei tremila anni della civiltà faraonica, si riflettono nei mutamenti visibili al suolo nell'evoluzione dei templi lungo i mille kilometri della Valle del Nilo durante quelli stessi tremila anni.
In altre parole, il ricercatore Robert Buval, intende dimostrare l'esistenza di un “Egitto cosmico” che si estendeva da nord a sud ed era inscritto segretamente nella geografia della Valle del Nilo. Questo tempo era regolato ed amministrato da sacerdoti-astronomi guidati da un faraone solare. Durò per più di tremila anni e si può ancora individuare nella disposizione delle piramidi e dei templi che sopravvivono ai giorni nostri.

(tratto da “Il Codice Egizio” di Robert Buval)

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lunedì 31 marzo 2014


L'EGITTO E' FIGLIO DEL SOLE


L'Egitto è figlio del Sole. E' la forma visibile del dio Ra., il Principio creatore al quale i sacerdoti della città santa di Eliopoli, oggi scomparsa, votavano una vita di lavoro, preghiera e ricerca.
Ogni mattina, quando l'astro splendente sorgeva dalle pareti rocciose del deserto occidentale (che nel nostro viaggio visiteremo), il Paese dei Faraoni rinasceva.
Gli antichi egizi credevano che il dio-sole, Ra, al tramonto, venisse ingoiato dalla Dea Nut, la volta celeste, per essere partorito di nuovo all’alba del giorno dopo.
Nut divorava e faceva rinascere anche le stelle, e per questo motivo era considerata una divinità legata alla resurrezione. Come tale si trova spesso raffigurata all’interno dei sarcofaghi degli antichi Egizi.
Un'altra storia dice che Nut, sotto le sembianze di una mucca (la mucca e il toro ricorrono spesso nella iconografia egizia), ebbe l'onore e l'onere di far salire sul suo enorme dorso il dio Ra. Venne aiutata in questo sforzo sovrumano da quattro dei aventi la funzione, in seguito divenuta perenne, di pilastri del mondo.
La sua pelle è dipinta di blu perché questo colore simboleggia la vita e la rinascita.
L'astronomia ha sempre avuto un posto importante in Egitto, dove la luminosità del cielo e la purezza dell'atmosfera hanno permesso osservazioni precise fin dai tempi più antichi.
Tutti i monumenti e templi degli antichi Egizi hanno un orientamento stellare, comprese la tre grandi Piramidi.
L'Egitto è anche un grande fior di loto, il cui stelo è formato dall'Alto Egitto, la parte meridionale del paese verso la Nubia, il cui fiore è rappresentato dal Delta o Basso Egitto.
Il Nilo visto dall'alto sembra un serpente cobra, la cui testa ad ombrello è il Delta del fiume.
Sulla corona dei Faraoni spiccava la testa di un cobra; che abbia qualcosa a che fare con il fiume Nilo?
Lunga circa mille kilometri, ma di una larghezza che raggiunge i trenta kilometri nell'Alto Egitto, la terra dei faraoni, nella parte abitabile e coltivata, occupa una superficie di poco inferiore a quella del Belgio.
La sua conformazione geografica, come si può notare, fa dell'Egitto un territorio del tutto particolare, favorevole allo sviluppo di strutture originali.
Da subito un dato storico conferma questa analisi: nonostante le invasioni straniere e le influenze esterne, nonostante i contatti con il mondo circostante, l'Egitto dei faraoni è rimasto fondamentalmente lo stesso e ha preservato il suo proprio genio per millenni.
La nostra civiltà attuale deve molto all'antico Egitto ed è ad essa collegata da mille legami indissolubili.
L'antico Egitto è infatti un nostro antenato. Sono lì le nostre radici spirituali, intellettuali, di sensibilità.
In base agli studi dei mosaici della Basilica di Aquileia il professore Renato Jacumin dedusse che Aquileia ed Alessandria d'Egitto abbiano “radici comuni”.


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mercoledì 19 giugno 2013

BELLYDANCE



La bellydance o danza del ventre è una danza molto bella: essa migliora l’aspetto fisico senza annoiarsi né stressarsi, fa vivere il proprio erotismo e la propria femminilità in maniera molto divertente e gioiosa.



Nella bellydance si può vivere e danzare felicemente senza essere accompagnate da un partner.

Si può ballare da sole, in casa o in gruppo.

Poiché la bellydance non richiede una coreografia precisa, anche le principianti giungono abbastanza rapidamente a ballare a tempo eseguendo poche semplici figure.
Questo gratifica molto e entusiasma.

La bellydance, o danza orientale, intesa come disciplina fisica generale o semplicemente come divertimento, è adatta a tutte le donne indipendentemente dall’età e dalla corporatura.

I movimenti della bellydance sono piuttosto delicati e possono essere eseguiti in modo molto personalizzato, a seconda delle proprie condizioni fisiche.

Perciò anche le donne non più giovani, paffutelle e non allenate possono esprimersi molto bene in questo tipo di danza.

Con la bellydance ci si confronta molto intensamente con il proprio corpo; si vengono a conoscere parti e muscoli fino allora ignorati, ci si scontra con barriere ed inibizioni, ma si scoprono anche molte capacità nascoste nel proprio organismo.

L’amore per la musica orientale è uno dei presupposti più importanti per avvicinarsi alla danza del ventre.

Se si subisce una volta questa attrazione, non si esce più dal fascino della musica e dei suoi movimenti coinvolgenti.

Nella musica orientale è presente tutta la gamma delle emozioni e dei sentimenti umani: la delicatezza, il sogno, la malinconia, la gioia, l’allegria, l’istintività, la forza, l’aggressività.
Tutti questi sentimenti trovano espressione della danza orientale o bellydance e possono essere vissuti liberamente.

Questo gioco di musica e corpo, musica e psiche, lascia spazio anche agli umori del momento.

Ciò che della danza del ventre o bellydance affascina molte donne e molti uomini è la sensualità dei movimenti.

Le oscillazioni dei fianchi, morbide e flessuose, le vibrazioni del bacino e i movimenti sinuosi di tutto il corpo sono l’emblema dell’erotismo, della seduzione, della voluttà.

Questa danza eseguita con il costume adatto, che fascia le forme femminili mettendo in risalto i fianchi e il seno, può risvegliare sogni di questo tipo.
Sta alla sensibilità della danzatrice eseguire i movimenti con maggiore o minore sensualità.

La personalità della danzatrice e l’interpretazione della musica creano una forma espressiva individuale, irripetibile.

Durante i nostri soggiorni in Egitto, Emanuela, una delle nostre acconpagnatrici, maestra di danza del ventre, impartirà, a chi ne avrà piacere alcune lezioni di bellydance all'ombra delle palme da dattero.

Si potrà anche assistere a veri e propri spettaccoli di danza del ventre nei numerosi malha o cabaret del Cairo.

L'Egitto, dopo la Turchia, è la terra dove la danza del ventre è diventata uno sport nazionale sia per donne che per uomini e tutti la sanno praticare, perfino i bambini e le bambine.

Assistere a una danza orientale è uno spettacolo da non perdere e nel Camp dove saremo ospiti si danza ogni sera; qui sono soprattutto gli uomini ad esibirsi nelle danze che invitano le donne a ballare con loro.

Le danze degli uomini possono essere alle volte molto più sensuali ed erotiche di quelle delle donne.  

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martedì 4 giugno 2013

DANZA DEL VENTRE EGIZIANA



La danza del ventre è una danza proveniente dal Medio-Oriente e dai paesi arabi, eseguita soprattutto, ma non esclusivamente, dalle donne. 



La danza del ventre è considerata una delle danze più antiche e profonde del mondo, soprattutto nei Paesi del Medio-Oriente e in  Nord Africa, Egitto compreso.

In Egitto, la danza del ventre, è entrata a far parte della cultura di una intera popolazione.
In Egitto la danza del ventre viene praticata anche dagli uomini; si chiama con molti nomi, uno di questi è la danza del bastone.

La danza del ventre fa parte di un gruppo di danze folkloristiche medio-orientalie nord-africane
Che si sono sviluppate ed evolute presso le corti principesche del Medio-oriente, ma non solo.

Se ne trova traccia anche nella raccolta di favole medio-orientali “Le mille e una notte”.

Durante la  Campagna d'Egitto del generale Napoleone, i soldati francesi vennero vennero a contatto con questo tipo di danza.

Essi, provenendo  da una società relativamente puritana e bigotta, intesero il movimento sinuoso dei corpi e l’uso di veli delle danzatrici, come un forte afrodisiaco facendo loro credere che queste serie ed esperte professioniste della danza fossero delle donne di dubbi costumi.

La fantasia di questi militari grezzi e insensibili, coniò per questo tipo di danza il temine “danza del ventre, perché i loro sguardi venivano attratti solo dai seducenti fianchi femminili che roteavano in maniera molto provocante.
 Immaginatevi il loro stupore davanti a tanta bellezza e libertà!

La danza del ventre o danza orientale è tradizionalmente praticata dalle donne, perché esprime interamente la femminilità, la vitalità e la sensualità.

 Esistono diversi tipi di questa danza o forse possiamo dire che ogni danzatrice interpreta la danza in uno stile suo personale.

Famosa è la danza dei sette veli di Salomè davanti ad Erode Antipa prima di chiedere al Re la testa di Giovanni Battista.

Questa danza è caratterizzata dalla sinuosità, dalla sensualità, dalla grazia muliebre dei movimenti: essa è di grande effetto sia per le musiche ritmate, alle volte lente e alle volte frenetiche.

Di solito è praticata da danzatrici professioniste ma ogni donna, ogni bambina in Egitto la pratica in maniera divina. 
Nei nostri soggiorni egiziani abbiamo apprezzato e ci siamo meravigliate nel vedere bambine e bambini anche molto piccoli, tre o quattro anni, danzare e muovere il bacino e le articolazioni in maniera sublime.

La danza del ventre è particolarmente adatta al corpo femminile, perché aumenta la flessibilità e la tonicità del seno, delle spalle, delle braccia, del bacino, ma soprattutto della pancia rinforzando gli addominali, modellando la linea e giovando agli organi interni. 

Tonifica le cosce, migliora l'agilità delle articolazioni e sembra ritardare l'osteoporosi, migliorando la postura e rafforzando la regione pelvica. 

Inoltre, la danzatrice orientale ha tutti i dirtti  di essere bene in carne; difatti le danzatrici più famose ed apprezzate sono quelle formose. 
La donna può così mostrare le proprie forme senza pudore e nella totale accettazione di se stessa, mostrando tutta la sua bellezza come una statua dell’età classica.

Quello che importa non è la rotondità ma la sensualità, la grazia e la sinuosità dei movimenti.

Non c’è niente di più bello che sperimentare la danza del ventre nella terra che le diede i natali: l’Egitto, dove tutto è danza.

Se desideri immergerti nella ricca cultura beduina dove gli uomini danzano con vigore e grazia assieme; se desideri  danzare al suono dello jud egiziano e dei tamburi beduini mentre the fragranti  ti avvolgono con i loro aromi, allora entra anche tu a far parte dei nostri gruppi di viaggio basati sulla conoscenza, sulla scoperta, sulla gioia di vivere.

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mercoledì 22 maggio 2013

I GEROGLIFICI EGIZI



Il termine “geroglifico” non è un termine egizio; si tratta di una parola di origine greca formata da hieros, che significa “sacro” e da “glyphein”, che significa “incidere”, “scalfire”.

Per  gli antichi Greci i geroglifici erano una scrittura sacra e incisa, ovvero una rappresentazione scolpita sulla pietra, del sacro.
Tomba del governatore Maja, Saqqara, Cairo


Ed è così veramente.
Per gli antichi Egizi i geroglifici rappresentavano “la parola di Dio”, che era necessario saper comprendere.
Ma che cosa è di così abbastanza sacro da diventare geroglifico?
Gli antichi Egizi ci avrebbero risposto: “Tutte le espressioni della vita, dalla pietra alla stella, dall’animale all’uomo”.

I geroglifici apparvero per la prima volta sulla paletta del Re Narmer o sulla mazza del re Scorpione, che celebrano la vittoria sulle tenebre di questi antichi fondatori della civiltà egizia, circa 3200 a.C.
Gli studiosi pensano che i geroglifici esistessero già prima di questi re.
Questo potrebbe voler dire che i geroglifici hanno un età di cinquemila anni.

Champollion, lo studioso francese che per la prima volta decifrò questo sistema di scrittura, diceva:
I geroglifici egiziani si presentano sempre nella loro forma già perfezionata, per quanto antichi siano i testi sui quali noi li studiamo”.
I geroglifici usati durante l’Antico Regno (3200-2270 a.C.), quelli che furono incisi al tempo della Piramidi, sono di una bellezza straordinaria.
Ogni segno è un piccolo capolavoro, rifinito dalle mani di artigiani molto geniali.
Mi fanno pensare alle immagini incise sul rovescio delle corniole romane. Superbi capolavori in miniatura da osservare con la lente di ingrandimento.

Attualmente il latino ed il greco sono delle lingue così dette “morte”, che nessuno parla più, ma non è così per i geroglifici.
Se osserviamo un testo scritto con i geroglifici noteremo che esso è pieno di esseri animati come animali, donne e uomini in azione, uccelli, mammiferi, pesci, anatre… ricordiamoci che queste immagini continuano ad agire nel mondo invisibile anche dopo migliaia e migliaia di anni.
L’universo dei geroglifici abbraccia la realtà in tutti i suoi aspetti. Essi aboliscono il tempo.
Sono al di sopra delle mode, inalterabili, fissati per sempre nell’eternità.
Le piramidi stesse sono in realtà un monumentale geroglifico in pietra e la loro decifrazione sta richiedendo gli sforzi di molti studiosi e ricercatori.

Gli antichi Egizi erano talmente persuasi di questa efficacia quasi magica dei segni geroglifici al punto che in certi casi si prendevano la cura di tagliare in due i leoni e i serpenti, per impedire loro di nuocere, oppure inchiodavano al suolo con dei coltelli i rettili pericolosi.

Dunque, quando vi recherete in Egitto,  sarà meglio che non vi avviciniate troppo alle pareti ricoperti di geroglifici e soprattutto non li tocchiate.
Eviterete di risvegliare il leone o i serpenti e non danneggerete i geroglifici.

Non si può parlare di progresso quando siamo davanti al sistema di scrittura geroglifico, perché esso nacque perfetto e non ha conosciuto miglioramenti.
Questo fatto ha rappresentato un formidabile elemento di stabilità, comparabile all’istituzione faraonica, unico regime politico per più di tremila anni.

Solo quando per l’Egitto iniziò il periodo di decadenza l’incisione divenne a volte meno curata e di minore qualità.



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