domenica 11 maggio 2014

Come si diventava faraoni.
incoronazione del faraone


Diventare faraone significa salire al trono con la cerimonia di consacrazione, un prodigio rituale paragonabile ai “misteri” medievali.
A essa prende parte l'intero Egitto, che in questo modo partecipa alla creazione del suo Re, incarnazione vivente del dio Horo che riceve l'eredità dal padre Osiride.
All'incoronazione sono presenti gli dei, le dee e le province d'Egitto.
Al momento della sua incoronazione, il faraone è presentato alle divinità ancestrali che siedono nei loro templi e vegliano sul corretto svolgimento della cerimonia.
L'atto centrale della consacrazione è l'incoronazione: il re riceve due corone.
La prima è rossa, simbolo del Basso Egitto, la seconda è bianca, simbolo dell'Alto Egitto.
Horo e Seth, gli dei patroni delle Due Terre, consacrano il re trasmettendogli la vita.
In questo preciso momento si compie l'atto di “legare il Doppio Paese”, di unire nuovamente il Sud e il Nord, di ristabilire l'unità che si era spezzata con la morte del faraone precedente.
Con l'incoronazione è ritornata la felicità. Se il rito propriamente detto si è compiuto nel segreto del tempio, fuori il popolo esulta.
Gli antichi egizi amavano le feste, in cui il sacro si accompagnava a manifestazioni di gioia che si traducevano in banchetti e grandi bevute, del tutto naturali in un paese che praticava la coltura della vite.
Quando il re, cinto della doppia corona, appariva per la prima volta al suo popolo, era paragonato a un astro.
Ciò che si celebrava non era l'individuo, ma il principio che esso incarnava,
Non si conosceva infatti, o lo si conosceva poco, l'uomo che incarnava il ruolo di monarca, ma si constatava che il faraone era di nuovo presente sul trono.
Il faraone viene incoronato, la giustizia scaccia l'ingiustizia, Maat è ristabilita, i pianeti riprendono il loro corso naturale nel cielo: si apre una nuova era.
La buona novella viene diffusa nel paese.
Si liberano quattro oche selvatiche in direzione dei quattro punti cardinali perchè ognuna di loro annunci che è stato consacrato il faraone e che tutto è ormai giusto e perfetto.
L'amministrazione più prosaicamente , notifica ai responsabili delle provincie l'avvento di un nuovo sovrano. Gli scribi preparano messaggi, che devono ricevere l'impronta del sigillo personale del faraone, il quale, nel primo anno di governo, farà il giro del regno.
Il re è ora insediato sul “trono di Horo dei vivi”, uno scanno dallo schienale piuttosto basso, di forma cubica. Sui lati, il simbolo dell'unione del Doppio Paese: il giunco e il papiro annodati assieme.
La trasmissione di legittimità, era matrilineare.
Niente impediva, del resto, che una donna fosse regina d'Egitto: se ne conoscono parecchi esempi, il più famoso è quello di Hatshepsut.
Ogni faraone riceve la protezione di un dio che venera in modo particolare.
Questi aiuta il re a svolgere il suo compito e il re lo ringrazia prendendosi cura dei suoi templi e dei suoi sacerdoti.
Poichè il dio permette dl re di sconfiggere i nemici, il re, in cambio, ne abbellisce i templi senza badare a spese.
Al nome del faraone si faceva seguire una formula di cortesia con valore magico, “vita, salute, forza”.
La vita dei re egizi non era uguale a quella degli altri detentori di un potere monarchico, i quali fanno quel che vogliono senza dover rendere conto a nessuno; anzi, l'intero comportamento era determinato da prescrizioni di legge, non solo in ordine agli atti della pubblica giurisdizione, ma anche in merito alla vita di tutti i giorni e alle forme di alimentazione.
Ad esempio: al loro servizio non c'era un solo schiavo, né acquistato per denaro né nato nel palazzo, ma tale incombenza spettava per intero ai figli dei sacerdoti più importanti: erano tutti sopra i vent'anni... Le ore del giorno e della notte erano programmate in modo che sempre il re dovesse fare ciò che prescriveva la legge di Maat e non ciò che voleva.
Il termine “faraone” deriva da un'espressione egizia che significa “grande dimora”, con cui si designava il palazzo del sovrano.

 (tratto da “l'Egitto dei grandi faraoni” di Christian Jacq)


 il faraone, assieme agli dei, lega il Basso e l'Alto Egitto










 

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domenica 13 aprile 2014

IL RUOLO DEL FARAONE NELL'ANTICO EGITTO
 
Faraone che offre agli Dei

Per l'Egitto, all'origine di tutto c'è il Mito, cioè la storia vera, secondo il ricercatore Mircea Eliade.
Ogni faraone situa il suo primo anno di regno nel tempo primordiale, ogni nuovo regno inizia con l'anno 1 di una nuova era.
Non conta tanto la data, ma l'inserimento del faraone in un ordine cosmico.
Ciò che importa, peri faraoni, è celebrare la storia del loro popolo come una festa, una comunione con la natura e con gli dei.
Tacciare l'Egitto di “conservatorismo politico”, perchè non è continuamente agitato da fermenti e sussulti sociali, significa misconoscere il valore della tradizione sacra come forza di rinnovamento perenne.
Dalle iscrizioni risulta evidente che i faraoni avevano coscienza di vivere nel “tempo degli dei”, nel “tempo degli antenati” e di restaurare “la prima volta”: tutte le espressioni che indicano l'origine della vita, il paradiso perduto continuamente ritrovato.
Le liste reali iniziano con il Regno degli dei; poi vengono quelle dei semidei, degli esseri di luce e, infine, dei servitori di Horo, predecessori del primo re umano, Menes.
Per gli antichi egizi tutto ciò non è pura leggenda, bensì il modo migliore di affermare che la regalità ha origine nel divino e che il modello al quale ogni faraone si riferisce è di ordine sovrumano.
La società faraonica, raggruppata e organizzata attorno al suo re-dio, trarrà tutte le conseguenze possibili da tale principio.
La storia dell'antico Egitto, così come viene scritta oggi, presenta notevoli zone d'ombra. Su trenta dinastie noi ne conosciamo solo un terzo, e parzialmente, la cui storia possa essere presentata con un minimo di precisione. I periodi così detti “intermedi” sono i periodi più oscuri.
Il concetto di dinastia, apparentemente rassicurante, non deve infatti trarre in inganno. In realtà non sappiamo perchè si passi da una dinastia all'altra, né conosciamo i criteri che regolano la durata della dinastia: la XVIII dinastia è lunghissima, mentre la XXVIII comprende un solo re e la VII probabilmente non esiste neppure.
A queste difficoltà se ne aggiunge un'altra, dovuta alla mentalità egizia stessa.
Preoccupati dall'eternità, i faraoni ci hanno lasciato in eredità solo ciò che consideravano essenziale: i templi e le tombe.
Le città, i villaggi, le case private non venivano costruite in “pietra eterna” ma con materiali deteriorabili. Di essi non si è conservato quasi nulla, il che ci priva di preziosi reperti archeologici da cui ricavare notizie sulla realtà quotidiana dell'antico Egitto. Fortunatamente sulle pareti delle tombe si trovano numerose “scene di vita privata” anche se spesso il significato simbolico trascende il loro aspetto materiale.............
L'aspetto fondamentale della civiltà egizia è l'istituzione faraonica. Se non si tiene conto di questo è difficile capire o interpretare la storia egizia.
L'istituzione faraonica faceva vivere a la società, modellava la mente, l'anima, la sensibilità degli antichi egizi.
Qualsiasi paragone con una società che si basi su criteri totalmente diversi non può portare a nulla.
Ora, l'antico Egitto, nella sua infinita saggezza, non ha mai avuto un unico libro sacro, un libro rivelato che desse una risposta a tutto. A ogni grande città corrispondeva una teologia specifica.
L'unica cosa valida per tutti è che il sovrano è al centro del pensiero egizio, al centro della storia, al centro della società.
Il faraone è un discendente degli dei che regnano in cielo e in terra. In quanto dio egli stesso riceve l'eredità dei suoi gloriosi antenati sul quale deve vegliare come fosse il più prezioso dei tesori:la terra d'Egitto.
Il faraone viene designato dal dio RA, mentre è ancora nell'”uovo”, secondo l'espressione egizia.
Questa alchimia solare mira a creare un essere di luce che, stando ai miti teogonici (i quali trattano del concepimento e della nascita della divinità) sarà il frutto dell'unione di un dio e di una donna mortale.
Ne consegue che non si deve mai considerare l'azione del faraone da un punto di vista puramente profano.
Nell'antico Egitto, non esiste separazione fra il tempio e il palazzo e non si può parlare della religione come distinta dallo Stato. La religione egizia, infatti, non è una dottrina paragonabile al cattolicesimo o all'Islam.
Non ha credo né dogmi, ma si basa su miti, simboli e riti.
I sacerdoti non devono né istruire il popolo né essere missionari. Essi si considerano specialisti del sacro, saggi che conservano la vita manipolando l'energia divina nei laboratori del tempo. Il maestro di tutto loro, il più qualificato, è il faraone.
La religione non è dunque imperniata sulla preghiera solitaria che, in Egitto, rappresenta solo un fenomeno secondario.
L'attività religiosa è un dovere fondamentale dello Stato, la sua ragione d'essere, essa determina le strutture politiche, sociali ed economiche.

FARAONE E SACERDOTE

I legami del faraone con il cosmo sono essenziali: per gli uomini egli rappresenta il sole, i cui raggi penetrano dappertutto. Scaccia le tenebre dall'Egitto e sente tutto ciò che viene detto, perchè ha milioni di orecchie; vede tutto, perchè la sua vista è più penetrante dell'astro del giorno.
Depositario della forza vitale, il faraone è l'unico interprete della volontà divina. Tale potenza non gli conferisce un potere dispotico, ma lo rende responsabile della vita materiale e spirituale del suo regno. Organizzando i riti, egli permette alle stagioni di alternarsi secondo le leggi del cosmo, all'inondazione di venire a fecondare l'Egitto, al sole sorgere.
Molti faraoni furono, del resto, veri e propri sapienti nel campo della religione e della simbologia. Sappiamo che frequentavano le biblioteche sacre alla ricerca degli annali degli antenati per conformarsi ai principi della saggezza destinati a guidare la loro condotta.
Poichè l'azione religiosa era considerata un mezzo di intervento sul mondo, era indispensabile che il faraone fosse un uomo di Conoscenza. In quanto capo del governo, il re continua a esercitare un ruolo di tipo sacerdotale, perché i suoi alti funzionari devono “far salire Maat”, l'armonia cosmica, a lui.
In altre parole, devono rispettare la verità nei loro resoconti affinché il re mantenga la giustizia. Guardiano delle leggi non scritte, il faraone è il sole, mentre il suo primo ministro, il visir, è paragonato alla luna: di conseguenza nella concezione della gerarchia amministrativa predomina l'accento religioso e cosmico.

I doveri religiosi del faraone si traducono nel rinnovo e nella realizzazione dei templi. Gli dei, per esercitare la loro influenza sulla terra, hanno bisogno di una dimora. Sta al re edificarla, perché vi si celebrino i culti e i riti. In realtà il faraone è l'unico sacerdote. E' per questo che viene rappresentato sulle pareti dei templi. Tale immagine vivente si incarna nel corpo di un sacerdote che compirà o gesti sacri nel nome del Re. Il tempio non è soltanto indispensabile come entità religiosa ma anche come ingranaggio economico fondamentale. Ogni santuario produce, organizza e distribuisce le ricchezze del paese. L'Egitto va dunque vissuto spiritualmente e materialmente al tempo stesso.
E' fondamentale per il paese essere governato da un faraone dotato di potere effettivo. Quando la benefica influenza del sovrano si attenua, quando il trono vacilla, l'Egitto conosce periodi bui. Gli dei non proteggono più, l'economia di indebolisce. Per organizzare, centralizzare, distribuire tanto le energie divine quanto quelle materiali, si rivela indispensabile un potere centrale forte e coerente.

Contro l'anarchia e il disordine, il faraone egizio dispone, è vero, di armi più concrete, quali sono l'esercito e la polizia, ma ricorre anche alla magia.
Protetto dal dio falco, il re, che porta appesa al perizoma una coda di toro, regna su diversi distretti, chiamati nomos, e il cui essere viene simboleggiato da emblemi magici, è una sintesi di forza animali, umane e cosmiche. Non viene forse paragonato ad un leone che ruggisce, a uno sciacallo che percorre in un baleno tutta la terra, a un fuoco, a un temporale, a una tempesta? Ha nel cuore Sia, l'intelligenza e nella sua vita risiede Hu, la saggezza, il verbo creatore: è questa la ragione per cui le parole pronunciate dal re diventano subito realtà. Tutto ciò che il cuore del sovrano desidera, si realizza. La sua lingua è una bilancia e le sue labbra sono più esatte dell'asta di quest'ultima. E' stato lui a tracciare la pianta dei templi, facendosi guidare dalle stelle del cielo, dalla dea Sesat, moglie di Thot.


Questa dimensione magica del faraone spiega il suo successo nelle imprese di guerra. Dotato di eccezionale coraggio, egli non teme alcun nemico. Protetto dagli dei, che gli donano la forza di vincere, egli riesce sempre a mettersi sotto i piedi i “nove archi”, ovvero i paesi stranieri. In realtà, il faraone, garante di un cosmo, impedisce alle forze del nulla di distruggere l'opera da lui intrapresa. Nelle guerre condotte dall'Egitto, le scene di battaglia rappresentate sulle pareti dei templi sono espliciti al riguardo. Colui che sconfigge le tenebre, la disarmonia, il caos, è un re solare, un monarca che incarna l'ordine del mondo. In un certo senso, il faraone strega il nemico per pacificarlo...................

Tratto dal libro “L'Egitto dei grandi faraoni” di Cristian Jacq


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martedì 1 aprile 2014


 LA CULTURA EGIZIA ED IL SUO RAPPORTO CON LE STELLE



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Il mondo degli antichi egizi era regolato da un ordine cosmico chiamato Maat, che non era altro che l’ordine visibile in cielo, rappresentato dai cicli osservabili, precisi e prevedibili del Sole, della Luna e delle stelle.
Gli antichi egizi possedevano una fede incrollabile nel fatto che questo ordine cosmico influisse sul mondo materiale ed umano sottostante, specialmente per quanto riguardava il cruciale straripamento annuale del Nilo, dal momento che nulla li affascinava, li intimidiva e li spaventava di più della piena del Nilo, che iniziava alla fine di giugno e terminava alla fine di settembre.
Si trattava di un miracolo annuale che rigenerava i raccolti e la vita di tutto l’Egitto. Una piena insufficiente a giugno, avrebbe causato carestia e pestilenza.
Questa la ma a doppio taglio che incombeva perennemente sulla Terra d’Egitto costringeva coloro che abitavano lunghe le rive del grande fiume a fare ricorso ad espedienti magici per assicurare ogni volta che l’inondazione fosse “buona”.
Sin dai primordi della loro civiltà essi si accorsero che alla fine di marzo le stelle della costellazione di Orione e di Sirio scomparivano al di sotto dell’orizzonte occidentale dopo il tramonto, rimanendo nell’”oltretomba” per un certo periodo di tempo (circa tre mesi) prima di riemergere all’alba al di sopra dell’orizzonte orientale verso la fine di giugno, proprio quando le acque del Nilo iniziavano a sollevarsi.
Durante questo cruciale periodo in cui le stelle soggiornavano nell’”oltretomba”, i sacerdoti-astronomi notarono anche che il Sole viaggiava lungo l’eclittica da un punto situato immediatamente al di sotto del luminosissimo ammasso stellare delle Pleiadi (corrispondente all’equinozio di primavera) fino ad un punto più lontano appena al di sotto del petto del Leone celeste, il segno del Leone appunto (corrispondente al solstizio d’estate), sfiorando nel suo tragitto la costellazione di Orione e la stella Sirio.
Cominciò allora a formarsi l’idea che percorrendo quella particolare porzione di cielo, da essi chiamata Duat, il Sole compisse un rituale magico, una sorta di via Crucis, che avrebbe portato alla rinascita delle stelle e a quella del Nilo quando, alla fine di giugno, Sirio fosse riapparso all’alba al di sopra dell’orizzonte orientale.
Tale evento astronomico si verificava inoltre il giorno del solstizio d'estate, il momento in cui il Sole raggiunge la sua massima declinazione nord, che venne giustamente considerato il primo giorno dell'anno e chiamato, tra le altre cose, “la Nascita di Ra”, il dio sole.
Una mitologia e una religione celeste si svilupparono attorno all'osservazione dei cicli del Nilo e degli astri ed è interessante notare che intorno al 2800 a.C. iniziò a delinearsi gradualmente un piano ambizioso per “abbassare”, portare sulla terra, letteralmente, l'ordine cosmico in modo tale che il faraone, il figlio di Ra sulla Terra, potesse intraprendere il medesimo magico viaggio in un Duat terreno assicurando così all'Egitto una “buona” inondazione.
Un detto ermetico afferma: “Così in alto, così in basso”.
A tal fine venne attuato un massiccio progetto pangenetico che implicò la costruzione in siti predeterminati di gruppi di piramidi “stellari” rappresentanti Orione e le Pleiadi, e di grandi templi solari collocati su entrambe le sponde del Nilo indicanti quella parte dell'eclittica lungo la quale il dio sole viaggiava attraverso il Duat dall'equinozio di primavera al solstizio d'estate.
I lenti mutamenti ciclici osservabili nel paesaggio cosmico, causati dalla precessione e dalla peculiarità del calendario civile egizio nel corso dei tremila anni della civiltà faraonica, si riflettono nei mutamenti visibili al suolo nell'evoluzione dei templi lungo i mille kilometri della Valle del Nilo durante quelli stessi tremila anni.
In altre parole, il ricercatore Robert Buval, intende dimostrare l'esistenza di un “Egitto cosmico” che si estendeva da nord a sud ed era inscritto segretamente nella geografia della Valle del Nilo. Questo tempo era regolato ed amministrato da sacerdoti-astronomi guidati da un faraone solare. Durò per più di tremila anni e si può ancora individuare nella disposizione delle piramidi e dei templi che sopravvivono ai giorni nostri.

(tratto da “Il Codice Egizio” di Robert Buval)

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lunedì 31 marzo 2014


L'EGITTO E' FIGLIO DEL SOLE


L'Egitto è figlio del Sole. E' la forma visibile del dio Ra., il Principio creatore al quale i sacerdoti della città santa di Eliopoli, oggi scomparsa, votavano una vita di lavoro, preghiera e ricerca.
Ogni mattina, quando l'astro splendente sorgeva dalle pareti rocciose del deserto occidentale (che nel nostro viaggio visiteremo), il Paese dei Faraoni rinasceva.
Gli antichi egizi credevano che il dio-sole, Ra, al tramonto, venisse ingoiato dalla Dea Nut, la volta celeste, per essere partorito di nuovo all’alba del giorno dopo.
Nut divorava e faceva rinascere anche le stelle, e per questo motivo era considerata una divinità legata alla resurrezione. Come tale si trova spesso raffigurata all’interno dei sarcofaghi degli antichi Egizi.
Un'altra storia dice che Nut, sotto le sembianze di una mucca (la mucca e il toro ricorrono spesso nella iconografia egizia), ebbe l'onore e l'onere di far salire sul suo enorme dorso il dio Ra. Venne aiutata in questo sforzo sovrumano da quattro dei aventi la funzione, in seguito divenuta perenne, di pilastri del mondo.
La sua pelle è dipinta di blu perché questo colore simboleggia la vita e la rinascita.
L'astronomia ha sempre avuto un posto importante in Egitto, dove la luminosità del cielo e la purezza dell'atmosfera hanno permesso osservazioni precise fin dai tempi più antichi.
Tutti i monumenti e templi degli antichi Egizi hanno un orientamento stellare, comprese la tre grandi Piramidi.
L'Egitto è anche un grande fior di loto, il cui stelo è formato dall'Alto Egitto, la parte meridionale del paese verso la Nubia, il cui fiore è rappresentato dal Delta o Basso Egitto.
Il Nilo visto dall'alto sembra un serpente cobra, la cui testa ad ombrello è il Delta del fiume.
Sulla corona dei Faraoni spiccava la testa di un cobra; che abbia qualcosa a che fare con il fiume Nilo?
Lunga circa mille kilometri, ma di una larghezza che raggiunge i trenta kilometri nell'Alto Egitto, la terra dei faraoni, nella parte abitabile e coltivata, occupa una superficie di poco inferiore a quella del Belgio.
La sua conformazione geografica, come si può notare, fa dell'Egitto un territorio del tutto particolare, favorevole allo sviluppo di strutture originali.
Da subito un dato storico conferma questa analisi: nonostante le invasioni straniere e le influenze esterne, nonostante i contatti con il mondo circostante, l'Egitto dei faraoni è rimasto fondamentalmente lo stesso e ha preservato il suo proprio genio per millenni.
La nostra civiltà attuale deve molto all'antico Egitto ed è ad essa collegata da mille legami indissolubili.
L'antico Egitto è infatti un nostro antenato. Sono lì le nostre radici spirituali, intellettuali, di sensibilità.
In base agli studi dei mosaici della Basilica di Aquileia il professore Renato Jacumin dedusse che Aquileia ed Alessandria d'Egitto abbiano “radici comuni”.


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