sabato 30 marzo 2013

Fiaba Egizia: mamma avvoltoio e mamma gatta



Mia signora ascolta la storia che adesso ti racconterò:

“C’era una volta mamma avvoltoio che, sulla cima di un albero del deserto aveva covato le uova.

C’era anche una gatta che aveva partorito su una montagna vicina.

Mamma avvoltoio aveva paura di volare alla ricerca di cibo per i suoi piccoli, perché temeva che la gatta si sarebbe mangiata i suoi pulcini.

avvoltoio con le ali spiegate, da un rilievo nella tomba di Tuthankhamon


Anche la gatta aveva paura di andare alla ricerca di cibo per i suoi gattini, perché temeva che mamma avvoltoio si sarebbe gettata su di loro.

Mamma avvoltoio disse allora alla gatta:

”Non potremmo convivere dopo aver fatto il seguente giuramento davanti a Ra: “Nessuna delle due attaccherà i piccoli di colei che sia uscita alla ricerca di cibo”?”.

Fecero questo giuramento davanti a Ra e dissero:

“Giuriamo di comportarci di conseguenza”.

Un giorno avvenne che il gatto vide uno dei piccoli avvoltoi che teneva nel becco un po’ del suo cibo e volle riprenderselo.

 Nel momento in cui volle strapparglielo, il piccolo si girò per tornare al nido, da suo fratello.

Il gatto lo ferì con i propri artigli…tanto che non fu più capace di volare.

Il piccolo avvoltoio disse:
”Per Ra! Non c’è altro cibo nel quale tu possa affondare i tuoi artigli?”

La gatta gli rispose:

”Quel cibo non l’ho preso per te! Ognuno dovrebbe procurarsi da solo il cibo di cui ha bisogno”.

Il piccolo avvoltoio le rispose:

“Ma io prima sono caduto dal nido. Se tu chiedessi a Ra di punirmi, sarebbe uno spergiuro che Ra stesso perseguiterebbe”.

Il giovane avvoltoio voleva volare via, ma le sue ali non lo sorreggevano.

Quando ormai voleva porre fine alla sua vita, disse alla gatta:
“Che tu possa essere punita e che la punizione si abbatta anche sul figlio del tuo figlio”.

Mamma avvoltoio pensò fra sé e sé:

“Se anche la punizione arrivasse alle terre lontane di Siria, comunque tornerebbe qui.
Io ne ho bisogno.

Quando la gatta uscirà alla ricerca di cibo per i suoi piccoli, io mi getterò sui gattini e questi diverranno cibo per i miei pulcini.

Cercherò di arrivare alla sua tana per ucciderla.
Quello che prima mi ha fatto era veramente una cosa cattiva”.

Non si dimenticò questa faccenda.

Un giorno avvenne che la gatta uscisse dalla tana in cerca di cibo per i suoi gattini.

Mamma avvoltoio si avventò su di loro e quando la gatta tornò non li vide più.

Levò allora il proprio muso al cielo e pregò il dio Ra:

 “Sai che io sono nel giusto e sai dell’ingiustizia compiuta da mamma avvoltoio, che si è avventata sui miei piccoli, trasgredendo il sacro giuramento che mi aveva fatto!”.

Ra udì la sua voce e un inviato celeste fu spedito in terra affinché la vendetta colpisse mamma avvoltoio, che si era avventata sui gattini.

L’inviato trovò la vendetta seduta sotto l’albero sul quale era posata mamma avvoltoio.

Il messaggero degli dei fece quanto gli era stato detto da Ra e ordinò alla vendetta di colpire mamma avvoltoio per quello che aveva fatto ai gattini.

Mamma avvoltoio vide allora un Siriano che stava arrostendo un po’ di selvaggina cacciata nel deserto per nutrirsene.

Prese un pezzo di carne con il becco o lo portò nel nido.

Alla carne però erano rimasti attaccati dei tizzoni ardenti  che lei non se ne era resa conto.

Il nido degli avvoltoi prese fuoco e bruciò.

I piccoli caddero in terra e giacquero come arrostiti ai piedi dell’albero.

Il gatto allora si avvicinò ai piccoli avvoltoi morti, ma non li toccò e disse a mamma avvoltoio:
 
fiabe di animali - gatte al posto delle donne
“Com’è vero che Ra vive, tu ti sei avventata sui miei piccoli e sin dall’inizio davi loro la caccia.
Li hai divorati!
Ma io adesso non mangerò i tuoi, perché sono arrostiti”

La scimmiotta parlò così alla gatta etiope e le ricordò come la giustizia di Ra punì l’empietà commessa da mamma avvoltoio nei confronti della gatta.

(questa favola giunse fino alla regina Maria di Francia)


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STORIA EGITTO: ALL'ORIGINE DELLE FIABE E DEI MITI UNIVERSALI



Possiamo dire con certezza che le fiabe ebbero origine dai Miti della storia Egitto

I grandi Miti  della storia Egitto, che parlano di dèi e delle loro avventure, costituiscono una parte essenziale della religione dell antico Egitto.
 
La fede del popolo dei faraoni non si esprimeva per dogmi, ma per immagini e racconti che descrivevano un evento cosmico oppure un’esperienza religiosa. 

I suoi argomenti preferiti erano la creazione del mondo e la ciclicità della natura. 

Un Mito spesso isolava una singola verità della trama complessiva del fatto cosmico e non mirava a dare un’interpretazione univoca della realtà.

E’ così che spesso i Miti si sovrappongo in modo apparentemente “insensato” nella storia Egitto. 

Ma quanto decisiva è stata la letteratura dell’ antico Egitto nel raccontare eventi cosmici e simbolici, come il diluvio universale e altri grandi eventi mondiali? 

In quanti Paesi questa “saga” (Noè, la sua arca, i suoi animali) vive sottoforma di fiaba? 

E’ grazie ai racconti egizi che veniamo a sapere in che modo un Mito “detronizzato” è diventato fiaba,  appena il suo contenuto non è stato più sostenuto dalla fede. 

antilope e leone che giocano alla senet



La favola ignora il miracolo e si rivolge alla ragione dell’ascoltatore, al quale trasmette saggezza: non con un insegnamento astratto, bensì con storie di animali o, più raramente, di piante. 

Mentre nelle favole della nostra tradizione gli animali sono classificati per tipi, ciò non è vero per quelle della storia Egitto, anche se poi, fedele in questo alla propria natura, la scimmia fa il buffone, la capra balla e il leone si atteggia a re. 

Il loro significato interpretativo era chiaro al pubblico dell’epoca. 

Martin Lutero attribuiva alla favola un grande valore, perché secondo lui “non solo i bambini, ma anche i principi ed i signori devono essere educati alla verità”. 

Per molti studiosi la favola è “insegnamento di un coscienza intuitiva” ed “esempio di eticità pratica”. 

Le favole nella storia Egitto, fanno parte della tradizione favolistica anche di altre culture.
Si noti, con stupore, come già nella terra del Nilo queste passassero di bocca in bocca. 

Le favole di animali sviluppatesi dalle leggende, ma così diverse nella loro essenza, assumono in Egitto un ruolo molto più ampio. 

Sottoforma di “discorsi brevi”, parlano della giustizia e della vendetta, un argomento che in Egitto non si esauriva mai: non a caso il giudizio dei morti è una creazione egiziana. 

E’ un tratto peculiare che le favole della storia Egitto siano inserite in un contesto religioso.
Anche nell’ antico Egitto, come in ogni tempo, le storie di animali ebbero un ruolo predominante nell’insieme dei racconti popolari a carattere fiabesco. 

Essi rappresentano l’umorismo e le facezie animali allietano grazie alla comicità e alla sorpresa. 

Il mondo alla rovescia delle loro magie, dominano la loro struttura. 
Queste storie hanno una tradizione unicamente figurativa e si basano sulla comicità di tali immagini. 

Le fiabe illustrate sono per la maggior parte rappresentate in forma anticonvenzionale, come arte popolare. 

Le immagini costituiscono “il bene raccontato al popolo”, ovunque gli analfabeti rappresentino la parte più numerosa della popolazione. 

Il cantore raccontava una nuova storia che doveva essere necessariamente breve, affinché egli potesse recitarla a memoria. 

In quei tempi di analfabetismo generale la memoria era straordinariamente migliore che nei giorni nostri nei quali un’ infinità di notizie ci raggiunge  attraverso i mass-media. 

Una notizia, un racconto non poteva raggiungere lunghezze da romanzo o da  poema epico.
Il cantore, un saggio esperto nello scrivere e nel leggere, era discepolo del dio Thot. 

Uno di loro si fece seppellire a Tebe con tutti i suoi utensili e i suoi rotoli di pergamena.

Per alcuni tipi di racconto, in particolare quelli a carattere sacro, venne inventato il “racconto in rima” con l’intento di aiutare la memoria nel ricordare. 

A questo punto si pone un quesito: le fiabe dell’ antico Egitto venivano raccontate o scritte?
Venivano raccontate. 

Ed è per questo che solo poche di esse, e solo per caso, ci sono state trasmesse. 

Che l’Egitto disponesse di fonti inesauribili per le fiabe è sufficientemente dimostrato dalla predisposizione culturale stessa di questa terra, dalle allusioni, dai riferimenti, dalle pratiche magiche, addirittura dalle ricette. 

E’  testimoniato inoltre dalle immagini di storie di animali presenti sui frammenti, dalla tradizione secondo cui Esopo avrebbe raccolto alcune storie lungo il Nilo, dal fatto che ancora nelle nostre fiabe compaiano la scimmia ed il leone, altri animali esotici e esseri soprannaturali dalla doppia natura come il drago e il grifone. 

Le fiabe, assieme ai generi che ne derivano, assolvevano a una duplice funzione. 

L’insieme variegato di queste meravigliose storie brevi risollevava il faraone quando le preoccupazioni lo opprimevano o quando veniva sopraffatto dalla momenti di debolezza e sconforto. 

Dall’altro lato divertiva e educava il popolo. 

Stilisticamente la fiaba nella storia Egitto mostra personaggi che non si evolvono e che raramente mostrano emozioni; quando ciò avviene formulano giudizi lapidari. 

Gli avvenimenti sono presentati senza il coinvolgimento del narratore; i luoghi sono segnalati grazie a simboli o nomi; il tempo è fermo o procede a salti, non scorre mai in modo continuo.
Queste e altre caratteristiche corrispondono  a una conoscenza molto antica, simile a quella che oggi continua a sopravvivere nei bambini e in larghi strati popolari. 

La lingua dei racconti popolari e fiabeschi è semplice ma ricca di informazioni. 

Vengono preferiti i modi di dire associativi e sono molto diffusi i racconti collegati l’uno all’altro; (come le fiabe di “Le mille e una notte”) anche le ripetizioni sono la regola, perché così il concetto può essere integrato. 

Le frasi fatte e le formule tipiche della fiabe sono:
“C’era una volta…”, “Avvenne in un tempo…”, “Si racconta …”, “Quando tornò la luce sulla terra e iniziò il nuovo giorno…”. 

Una parte interessante della struttura delle fiabe antico-egizie è costituita dai giochi di parole basato su suoni identici o comunque affini. 

Questo gioco di parole portò addirittura alla creazione di una serie di storie sui Dèi. 

I numeri preferiti nelle fiabe antico egizie sono il tre e il sette e i loro multipli. 

Nel corso di tremila anni di storia nell’antico Egitto non si modificò  solo la lingua, ma anche lo stile. 

La maggior parte dei racconti appartiene al Medio Regno, il periodo della letteratura classica, altri al periodo ramesside (XIX e XX dinastia) molto attento alla cosiddetta letteratura di intrattenimento. 

La letteratura orale delle fiabe solo raramente fu messa per iscritto. E’ dunque per puro caso che si sono conservate, e in un'unica copia manoscritta. 

Il che non stupisce dato che comunque solo una piccola parte dei testi originari ci è stata tramandata. 

Fortunatamente l’asciutta sabbia del deserto ha salvato, lungo l’arco dei millenni, più papiri di quanti non ci si aspettasse inizialmente. 

Particolarmente nocivi si sono rivelati i furti nelle tombe, i danni causati dagli insetti, l’acqua freatica e l’avidità dei commercianti. 

A volte la luce ha sbiadito l’inchiostro di bistro, oppure gli scribi antichi hanno usato un foglio già scritto, lavato solo superficialmente. 

E’ per questo che esistono testi scritti uno sopra l’altro, spesso ulteriormente deformati da un cattivo calligrafo. 

I testi dei papiri sono in scrittura ieratica; quelli incisi sulla roccia sono geroglifici e quelli più recenti sono scritti in lingua demotica.

I pochi testi di epoca cristiana sono di tradizione copta. 

Esiste una serie di antichi scritti conservati solo in greco, mentre tutto il genere delle fiabe illustrate è stato trasmesso solo oralmente. 

Per interpretarne il senso sono necessari studi di culture vicine sia cronologicamente che geograficamente. 

E’ impossibile quantificare quello che è andato perduto per sempre: lo si può intuire sulla base dei frammenti, dei riferimenti, dei titoli, dei libri, delle citazioni e dei versetti mandati a memoria o grazie alla prove fornite da antichi scrittori. 

La storia Egitto, oltre ad aver prodotto un numero difficilmente quantificabile di fiabe, fu anche terra di origine di un numero infinito di racconti fiabeschi, poi ripresi dalla letteratura mondiale. 

La prime fiabe della terra dei faraoni non solo si sono ampiamente diffuse nel mondo, ma sono rimaste vive nello stesso Egitto, fino ai giorni nostri. 

Fu nella terra bagnata dal Nilo che i racconti magici, quelli che nella letteratura orientale godono ancora oggi di grande popolarità, ebbero la loro origine. 

Fa riflettere la circostanza che ovunque si sia riusciti a ridisegnare in modo inconfutabile le vie di diffusione delle fiabe, le tracce riconducano all’Egitto e che anche da altri punti di vista a questo Paese spetti la primogenitura. 

E’ dunque possibile affermare che nel corso degli anni e sino ad oggi, tutte le fiabe abbiano esercitato un certo influsso sui Paesi circostanti.

Le vie seguite sono strane e si ramificano sottilmente: attraverso i monaci copti arrivarono fino in Irlanda, altre raggiunsero la Polonia e la Russia verso oriente, abbracciarono l’arco che va dalla Polinesia sino al Madagascar e si spinsero fino a toccare il Sudan. 

I marinai egizi che nel 3000 avanti Cristo ebbero rapporti di scambio con le altre culture del Mediterraneo o oltre furono senz’altro i primi esportatori di tali storie. 

L’arrivo dei Greci in Egitto nel VI secolo, aprì la strada verso l’Ellade, il Medio Oriente e l’Europa dell’est. Alessandria d’Egitto prima e  Bisanzio poi, diffusero l’eredità egiziana per tutto l’Impero Romano. 

I crociati rappresentano il punto d’arrivo di questa catena. 

Nonostante la lacunosità della trasmissione, dovuta all’antichità dei testi, appare armai chiaro l’apporto dell’antico Egitto alla cultura mondiale. 

Se si considera che l’egittologia è recente e che lo studio delle fiabe è appena agli inizi, si comprenderà perché nei testi scolastici ancora non si accenni al fatto che l’Egitto è, da un lato, terra di origine di un numero vastissimo di fiabe europee, dall’altro centro di irradiazione verso l’India e la Grecia. 

La terra dei faraoni, come in tutti gli altri ambiti culturali, riveste un’importanza epocale anche per la fiaba.
 
Omero, Esiodo, Paltone, Aristotele; nessuno di loro rimase indifferente alla cultura antico-egizia e gli animali di Aristofane, non sono privi di influenze egiziane. 

Esopo, maestro della favola, dichiara di essere stato in Egitto e io ritengo che sia vero perchè molte delle sue immagini e delle sue sentenze morali sono chiaramente originarie proprio di questa terra. 

Per concludere questo rapido sguardo d’insieme sulle fiabe dell’antico Egitto, cito le parole testuali di una grande studiosa di fiabe e miti egizi, Emma Brunner-Traut: 

“Nonostante tutte le gravi perdite, l’Egitto si rivela, anche dal punto di vista delle fiabe, una terra benedetta.
Questo mondo fiabesco che si schiude è ricco e complesso.
La sua forza di irradiazione illumina molti Paesi e la sua vitalità è stupefacente.
La fiaba crebbe sul terreno di una cultura grandiosa, come non ce ne sono più state in seguito, e mantiene intatta fino ad oggi la sua forza di attrazione.” 


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lunedì 25 marzo 2013

EGITTO LA STORIA DELLA DONNA NELL' ANTICO REGNO

In Egitto la storia è questa:
“l’unica, l’amata, la senza pari, la più bella di tutte, guardala,
 è come la stella fulgente all’inizio di una bella annata”
(inizio delle parole della “grande gioia del cuore)

In Egitto la storia delle donne egizie era che godevano dello status giuridico di individuo autonomo: esercitavano diritti, potevano essere proprietarie di beni e disporne a piacimento, dovendo rispettare le stesse regole degli uomini.

In Egitto la storia dell’Antico Regno mostra che le donne egizie godevano di un ruolo importante nella vita domestica e nella società in generale, poiché le proprietà terriere venivano tramandate di madre in figlia; a parte qualche eccezione, rappresentata da regine e sacerdotesse.

Volto_di_donna_egizia
volto di donna egizia dell'antico regno

Non rivestivano però incarichi pubblici o politici.

Nell' Egitto la storia delle differenze gerarchiche fra i sessi erano tuttavia molto marcate, specialmente nelle epoche più antiche: così la donna è sempre raffigurata in scala minore rispetto al padre o al marito, talora inginocchiata o seduta alla sinistra del compagno, mettendo l’accento sulla minore rappresentatività sociale.

A partire dal regno di Amenohotep III in Egitto la storia della “grande sposa reale” è raffigurata costantemente al fianco del re, partecipa alle scelte politiche e personifica il lato gentile della propaganda
delle opere del marito.

Allo stesso modo, la presenza della regina Nefertiti accanto al faraone Amenofi IV, meglio conosciuto come Ahkenaton, diventa un motivo costante e irrinunciabile dell’arte di Amarna.

La sposa del faraone Ramesse II, Nefertari Merienmut (“la più bella, beneamata da Mut”), fu oggetto di un particolare attaccamento da parte del marito, che per lei fece costruire il tempio minore di Abu Simbel, in cui la regina prende la forma di Hathor, con queste parole:


“Ramesse II ha costruito un tempio scavato nella montagna, monumento eterno per la grande sposa Nefertari, per la quale lo stesso sole splende”.

La figura stessa della regina assumeva un ruolo divino, come è avvenuto per Ahmes-Nefertari, madre di Amenhotep I, per Teye, madre di Amenhotep IV, e per la stessa madre di Ramesse II, Mut-Tuy.

Molti templi e cappelle erano dedicati al loro culto, e godevano di grande devozione popolare.

Come il faraone era l’immagine vivente del dio Horus, così la regina rappresentava l’incarnazione dell’essenza divina e era identificata con Iside-Hathor.

Le donne egizie sono spesso raffigurate accanto ai loro mariti durante molte attività lavorative quali l’ispezione delle proprietà, la conta del bestiame, il controllo del lavoro degli operai.

Nell'Egitto la storia della presenza femminile a feste o a banchetti testimonia la relativa libertà sociale delle donne egizie rispetto a quelle appartenenti ad altre antiche società.

I compiti delle donne egizie erano legati alla conduzione delle attività domestiche: tenere la casa ordinata, preparare i pasti, lavare la biancheria e fare la spesa, a grandi linee le mansioni per noi donne non sono cambiate dai tempi degli antichi Egizi..

Nelle loro incombenze le signore erano aiutate da almeno un servitore, salvo i casi di estrema indigenza.

Nutrire, accudire e crescere un bambino era compito esclusivo delle donne egizie, che sono spesso raffigurate mentre portano il figlio in uno scialle annodato sul dorso (come ancora fanno le donne africane); la madre poteva così allattare il bambino anche durante le attività lavorative e, conseguentemente il bambino, stando così attaccato alla madre, conquistava una maggiore sicurezza in se stesso che sarebbe stata di grande aiuto in età adulta.

Il bambino era allattato fino ai tre anni, mentre dal quarto anno di vita poteva iniziare a frequentare la scuola; l’allattamento protratto a lungo garantiva al figlio, oltre che un cibo salutare, anche una maggior difesa da malattie e infezioni gravi, mentre nella donna ritardava i tempi di una nuova gravidanza.

L’educazione scolastica era riservata quasi esclusivamente ai ragazzi dei ceti benestanti, che potevano frequentare le scuole dei Templi.
Nelle famiglie di maggiore prestigio, erano istruiti da un pedagogo privato.

I figli dei contadini non godevano di alcun tipo di istruzione mentre i figli degli artigiani erano presto avviati all’apprendistato nelle botteghe.

Ci sono però delle eccezioni come quella del grande architetto e uomo di fiducia della regina Hatshepsut, Senmut o Senenmut che progettò il tempio di Der al Bahari, a Tebe,  il quale era figlio di gente comune come risulta dalla titolatura dei genitori trovata nella loro tomba, non lontana dalla tomba dell’architetto.
Suo padre Ramose è infatti nominato come ‘Degno’, mentre sua madre Hatneferu viene indicata come ‘Donna di casa’.

Naturalmente il fatto di appartenere a famiglie dal rango elevato e di avere una rispettabile genealogia era un fattore di prestigio, e il legame fra le generazioni era molto profondo: era, infatti, considerato disdicevole che un figlio abbandonasse i genitori anziani e non ricambiasse i sacrifici fatti per allevarlo.

Nella maggior parte dei casi, tuttavia, raggiunta la maggiore età, i giovani potevano lasciare la casa paterna, liberi dalla potestà dei genitori e in possesso di un patrimonio personale.

Solo nei periodi più travagliati della storia egizia, quando cioè la mancanza di coesione statale non tutelava appieno l’individuo, la donna era soggetta all’autorità del marito.

Il ruolo primario che la donna egizia esercitava nella società è testimoniato dalle figure di importanti regine che hanno sovente governato come reggenti per i  figli troppo piccoli per poter esercitare il potere.

Esistevano anche sacerdozi femminili investiti di poteri economici e politici.

Nonostante tutto, l’ideale femminile rimaneva la figura della moglie fedele e della madre premurosa, attenta amministratrice dell’economia domestica.

Non mancavano comunque stereotipi di bellezza e di sensualità rappresentati da danzatrici e naturalmente prostitute, che però i saggi invitavano  a evitare per non cadere nel vizio.

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sabato 23 marzo 2013

NEL DESERTO BIANCO - WHITE DESERT - EGITTO



Nel deserto tutto quello che devi fare è dimenticarti le regole del tuo modo di vivere quotidiano e passare ad un altra modalità.

Foto_sara_egitto_novembre_2011_228
Coniglio bianco nel White desert

Prima di arrivare nel deserto Bianco, in arabo  Sahara el  Beyda,  si possono  scorgere già lontano le prime formazioni rocciose di quella parte di deserto Occidentale chiamata Agabat.
Nel deserto, una distesa di sabbia dorata dalla quale spuntano enormi candidi ammassi rocciosi a forma di uovo o di melone, (si tratta del cosidetto “Wadi melon”),  e bianche concentrazioni di calcare e gesso.


A causa dell’erosione del vento nel deserto, alcune parti di queste pareti rocciose sono crollate e quello che rimane sono dei grandi buchi nella roccia, da noi soprannominati “stargates”.

Sono di una bellezza seducente e provocante;  forse da nessuna altra parte al mondo esiste un deserto così insolito e variegato come questa parte di deserto del Sahara egiziano.


Nessuno immagina il Sahara come una distesa candida e scintillante, dalla quale spuntano, come sculture michelangiolesche, impressionanti  torrioni bianchi come il marmo di Carrara, dalle forme più disparate.

L’idea che abbiamo di questa arida e desolata area scompare  immediatamente quando siamo nel deserto e ci assale un senso di meraviglia e stupore come se osservassimo l’opera di un grande scultore.

In questo caso lo scultore è il vento.

La  seduzione di questo tipo di deserto sta nella sua apparizione improvvisa, dopo interminabili banchi di sabbia color oro e ocra e spettrali, nere rocce vulcaniche sparpagliate per kilometri e kilometri.

Un fenomeno geologico che ha del miracoloso: uno scenario fatto di alte colonne calcaree e monoliti gessosi che, grazie al continuo lavoro di erosione del vento e della sabbia, assume le più stravaganeti.

E’ difficile descrivere il Deserto Bianco. Bisogna solo andarci nel deserto Bianco.

Davanti a tanta struggente bellezza, alle volte possono mancarci le parole per descrivere le nostre emozioni.

Il paesaggio, con il suo fascino e con la sua naturale purezza,  ci seduce e ci incanta,  mentre un senso di stupore e di sorpresa ci assalgono.

Nel deserto, l’unico modo per resistere a tanta seduzione è quello di lasciarci conquistare dal suo richiamo discreto e dalla sua primitiva bellezza.

Questa immensa porzione di Sahara egiziano, che si estende tra le oasi di Bahariya e Farafra, fino a lambire l’oasi di Siwa a nord e il territorio libico a ovest, collega le brulle, spettacolari  distese  del Deserto Occidentale con lo scenografico Grande Mare di Sabbia.

Questo anello di congiunzione, è uno dei pochi posti che ospita indizi certi sulla nascita  del deserto del Sahara.

Nel deserto Bianco, in questo posto visitato ogni anno da centinaia di turisti frettolosi, le rocce hanno assunto delle forme incredibili.

Queste strutture, chiamate Jardangher, formano delle vere e proprie sculture; si può vedere  pulcini all’ombra di enormi funghi,  dromedari bianchi distesi sulla sabbia, missili pronti per la partenza, conigli bianchi che forse attendono da migliaia di anni l’arrivo di Alice.



Rappresentano una sorta di clessidra che può aiutarci a misurare l’età del deserto.

Questo tipo di roccia è un’altra prova del fatto che migliaia di anni fa, il deserto si trovava sott’acqua.

Gli  jardangher, e quasi tutto il deserto Bianco, sono composti di gesso e calcare costituito da milioni di microrganismi marini.

Il gesso viene eroso molto facilmente per questo è stato scolpito così bene dal vento.

Ma il vento è anche un artista brutale, raccoglie la sabbia e la scaglia contro gli jardangher.

Quando il vento consuma le rocce e le ricopre di sabbia  abbiamo questa forma caratteristica più stretta nel mezzo. 

Questo accade perché il vento si muove con più velocità appena si alza da terra e quindi ha più forza erosiva ma trasporta di quella che rotola a livello del terreno.


Così, la maggiore erosione si ha dove la roccia è più stretta; qui abbiamo la giusta combinazione di vento forte e molta sabbia.

Data la continua azione abrasiva del vento e della sabbia,  e la loro facilità a rompersi, a disgregarsi,  gli jardangher hanno  una vita breve; fra qualche decennio, se le condizioni climatiche restano quello di adesso, potremo trovare al loro posto solo un’abbagliante distesa di gesso e calcare.

40 milioni di anni fa le cime degli jardangher formavano parte del solido fondale marino, ma quando il Sahara si è trasformato in un deserto di sabbia, si è alzato il vento ed è iniziato il processo di scultura di queste forme.

Calcolare quanto lungo sia stato questo processo potrebbe aiutare ad individuare con precisione l’età del deserto.

E’ difficile dire quanto tempo il vento abbia  impiegato per creare tutto questo.

I torrioni che si alzano solitari in questa bianca distesa possono raggiungere anche i  4/5 metri di altezza e probabilmente centinaia di anni fa avevano forma e massa molto diversa.

La roccia friabile di questi hardanger ha forse  un migliaio di anni o anche meno, ma per scolpire l’intera depressione c’è voluto almeno un milione di anni.

I geologi sospettano che il Sahara si sia formato più di un milione di anni fa.

Nella loro ricerca di una data più precisa si rivolgono quindi alla sua formazione più famosa: le dune di sabbia.

Qui nel deserto del Sahara le tempeste di sabbia possono durare anche quattro giorni.
La sabbia viene scagliata attraverso il terreno.

Per centinai di migliaia di anni si accumula sottoforma di dune che possono raggiungere un altezza di un edificio di 50 piani.

Forse in queste montagne di sabbia sta il segreto dell’età del deserto.

La difficoltà è dovuta al fatto che queste dune cambiano continuamente; il vento che le crea, le soffia anche via, spostandole in media di 15 metri all’anno.

Per datare con precisione il deserto gli scienziati devono seguire la sabbia fino alla fine del suo viaggio.

La sabbia di grana grossa si sposta lentamente e non va molto lontano ma i granelli più fini possono spingersi oltre e così i granelli possono essere trasportati fino all’Oceano Atlantico.

Le rocce del deserto del Sahara sono costituite per il 40% da gusci di antiche creature marine.
Ma il dato più importante è che queste creature marine risalgono a 40 milioni di anni fa e che vivevano solamente in acqua.

Questo prova che l’area che oggi è un deserto una volta si trovava sotto il livello del mare.

Nel deserto Bianco si possono vedere ancora con chiarezza migliaia di conchiglie fossili piantate del calcare delle rocce.

Si pensa alla costruzione della Piramide ma non al fatto che è costituita da questi magnifici fossili.

Se desideri restare affascinato dalla magnificenza di panorami insoliti e inimmaginabili, se vuoi essere un osservatore attento e vuoi dare un senso allo scorrere lento del tempo posando i tuoi piedi e il tuo sguardo sul passato remoto della nostra terra, allora i nostri viaggi offrono l'opportunità di vivere nel deserto un'esperienza indimenticabile.
E una volta che l'avrai vissuta vorrai riviverla ancora.
Un viaggio nel deserto, è un'esperienza affascinante, che va vissuta con slancio, senso di avventura e prudenza.
Camminare tra i pinnacoli di calcare nel Deserto Bianco, uno delle aree più belle di tutto il Sahara, è un’emozione che non si dimenticherà mai.
Viaggiare nel deserto  è un grande piacere che coinvolge sia il corpo che lo spirito.
Farlo, potendo godere del silenzio e potendo ammirare anche i più piccoli particolari di questi straordinari ambienti, conferisce a questo viaggio un impronta straordinariamente interessante.

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mercoledì 20 marzo 2013

INTERVISTA AD ALBERTO ANGELA SULL' ORIGINE DEL DESERTO DEL SAHARA

“Il deserto del Sahara esiste da 5000 anni, la sua sabbia deriva dalla demolizione naturale delle rocce fatte da agenti atmosferici come sbalzi di temperatura, che hanno sbriciolato e demolito le stesse fino a trasformarle in granelli finissimi.

Poi il vento ha agito come da carta vetro e ha sminuzzato ulteriormente queste pietre. 

grande mare di sabbia

Così si è formato il deserto del Sahara.


Si può dire che le dune e gli enormi cumuli di sabbia che si trovano nel Sahara non sono altro che la polvere di rocce e sedimenti che si sono sbriciolati nei corsi dei millenni.

Per salire, con una buona approssimazione, all’antichità di una duna, alle volte basta semplicemente guardare il suo colore.

Molto spesso le dune di  color salmone sono più antiche di quelle gialle.

Oggi il deserto del Sahara è un’enorme distesa di sabbia e di pietre arroventate dal sole, ma in passato era completamente diverso.

Nella preistoria era infatti un piccolo paradiso terrestre ricco di animali.

Fra queste montagne imponenti, attraverso queste gole aride si trovano, per così dire, delle immagini di quel tempo, quasi delle foto preistoriche.

Scolpite o disegnate su pareti di arenaria del deserto, troviamo delle immagini scolpite in modo perfetto.

Ogni dettaglio è magistralmente disegnato, perfetto nella descrizione fisica degli animali e anche degli uomini raffigurati. 
Ogni  dettaglio è verosimile.

Il Sahara allora era un’enorme savana, con laghi e boscaglie. I suoi paesaggi e suoi ambienti erano molto simili al Parco del Serengheti, in Tanzania.

Bellissimi graffiti e pitture primitive, si trovano a migliaia in tutto il deserto Sahara; essi danno un’idea di quali animali avremo incontrati in quei tempi .


Avremmo potuto vedere gruppi di giraffe che avanzano dolcemente mangiando i germogli collocati sulla cima  degli alberi delle acacie.

Si potevano incontrare anche rinoceronti che pascolavano nelle distese aperte, nelle boscaglie.

C’erano anche dei mufloni, che senz’altro erano le prede  più ambite; difatti sulle pareti si vedono scene di caccia.

Gli struzzi erano probabilmente una preda molto difficile da catturare.

Nelle distese delle savane si incontravano gazzelle, antilopi e anche buoi selvatici riuniti in mandrie numerose, a seconda delle stagione e forse anche delle migrazioni.

Naturalmente non mancavano i carnivori che predavano questa antica fauna sahariana.

I messaggi che ci mandano questi graffiti e queste pitture è che una volta il Sahara era un ambiente vivo e soprattutto vivibile anche per l’uomo.

Si erano stanziati, difatti, dei piccoli gruppi nomadi di cacciatori, raccoglitori e sono proprio loro ad aver dipinto tutte le figure ed ad aver scolpito i graffiti.

Da queste si può anche capire come si vivesse allora.

Nei pressi delle grotte, nel Gilf el Kebir, nel lato sud ovest del deserto del Sahara, si trovano graffiti e le pitture rupestri, inoltre si sono trovare numerose macine di pietra per sminuzzate i semi delle granaglie.

Si sono trovate anche delle punte di freccia in pietra.

Ce ne sono di varie dimensioni; quelle più piccole servivano per abbattere la selvaggina di più piccole dimensioni, come gazzelle, lepri ecc.

Invece quelle più grosse servivano per colpire antipoli o animali ancora più grandi.

Una delle cose più sorprendenti quando si viaggia nel deserto del Sahara, è che quando si piantano le tende la sera, molto spesso capita che il luogo che si è scelto sia esattamente lo stesso che hanno scelto migliaia di anni fa questi antichi raccoglitori-cacciatori.

E noi ce ne siamo accorti perché tutto intorno al nostro camp, c’è un’altissima concentrazione di legnetti primitivi, quasi a sottolineare che, malgrado i millenni, certi punti rimangono strategici per campeggiare.

Nelle pitture preistoriche del Sahara ad un certo punto accade un fatto straordinario.
Cominciano infatti a comparire delle figure umane.

Sono molto stilizzate, hanno una testa tonda, molto grande, quindi sono chiaramente delle figure simboliche.

Non sappiamo perché le disegnassero in quel modo ma sappiamo che in quel periodo, circa 10.000 ani fa, accadde una vera rivoluzione per l’umanità; nasce l’agricoltura e l’allevamento, questo fatto cambia completamente il rapporto dell’uomo con la natura.

Non si dipende più  dall’umore della natura per il cibo con la caccia e la raccolta, ma a partire da questo momento il cibo lo si comincia, per così dire, a produrre.

E’ una vera rivoluzione che cambierà il modo di stare nel mondo dell’uomo.
Questa rivoluzione è avvenuta in vari luoghi della terra diffondendosi in tempi diversi.

La fase pastorale che seguì circa 8.000 anni fa, fu lunga e prosperosa e su queste pitture alle pareti si vedono delle mandrie, guidate dai pastori, ma anche scene di vita quotidiana.
Quindi si può capire come si vestisse la gente allora.

Ma ad un certo punto qualcosa cominciò a cambiare.

Il clima cominciò ad inaridirsi, i laghi si rimpicciolirono, le boscaglie si diradarono e la savana comparve gradualmente.

Infine arrivò il deserto vero e proprio, e il deserto Sahara cominciò a diffondersi lentamente soffocando tutti gli ambienti e spegnendo queste antiche culture.


Nel corso della generazioni tutti gli abitanti del Sahara furono costretti a migrare altrove, disperdendosi per sempre.

Anche gli animali dovettero fare altrettanto,  ma alcuni riuscirono a sopravvivere e a adattarsi a questo ambiente inospitale,

Uno di questi è un rettile, una specie di lucertola che si chiama uromastice.

Questa lucertola è erbivora e accumula il grasso sulla coda piena di aculei. E’ innocua.

Oggi il Sahara e la sua sabbia hanno coperto tutto ma in queste aree così lontane e remote si possono ancora leggere queste antichissime pagine della preistoria del Sahara.

E’ un po’ come se qui il tempo si fosse fermato”.


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giovedì 7 marzo 2013

ITALIA EGITTO: CLEOPATRA E I TOLOMEI


il profilo di Cleopatra VII su una moneta dell'epoca


Cleopatra si rese conto che il generale Marc Antonio non era un gentiluomo come Cesare, ma solo un rozzo soldato.

Tuttavia ella si sentiva attratta e ben disposta nei suoi confronti; cominciò un rapporto che possiamo definire fra Italia Egitto.

Ben presto l’interesse del generale negli affari governativi “iniziò a vacillare”, secondo Appia.

Fra Italia Egitto i rapporti cominciatrono ad essere tesi.

Ottaviano,  Marco Lepido e Antonio facevano parte del secondo triumvirato; erano quindi compagni ed amici e proprio per questo Ottaviano fu molto esplicito sul caso Marco Antonio/Cleopatra; non doveva esserci nessun rapporto di questo tipo fra Italia Egitto.
Egli disse di Cleopatra: “Quella maledetta donna lo ha stregato” (riferendosi ad Antonio).

Sembra che l’invito in Siria da parte di Antonio avesse un altro retroscena, oltre al debole che la Regina nutriva per i generali di Roma; lei sogna un'alleanza  Italia Egitto.

Antonio si ricordava probabilmente di quando l’aveva incontrata per la prima volta in Egitto, quando lei era ancora una bambina e lui un giovane ufficiale con grandi debiti personali e una forte propensione alla dissolutezza.
Tuttavia anche i suoi nemici concessero ad Antonio qualche punto a suo favore. Essi non vedevano di buon occhio un'allenza Italia Egitto.

Cicerone lo descrive come un bruto affascinante, dalla corporatura di gladiatore, con una folta barba, fronte ampia e naso aquilino che, secondo la sua famiglia, era la prova evidenza della discendenza dal semidio Ercole.

Antonio coltivò questa gloriosa relazione e tenne alta la sua immagine sistemandosi la tunica in modo da accentuare la muscolosità delle sue gambe e indossando una spada insolitamente larga.

Mentre Antonio si lasciava prendere dai problemi personali di Cleopatra, la posizione del triumvirato a Roma andava deteriorandosi velocemente.

I suoi correggenti lo richiamarono al dovere, ma le loro richieste restavano inascoltate.

Plutarco scriveva: “Antonio non sopportava l’idea di lasciare Cleopatra e di ritornare ad Alessandria”, egli “voleva solo divertirsi come un fanciullo in vacanza”.

Alla fine, “con difficoltà, si comportò da uomo, destandosi dal torpore e dalla dissolutezza”, e acconsentì a condurre una campagna militare contro i Parti in Asia Minore.

Arrivando ad Atene fu sorpreso di incontrarvi la moglie Fulvia, che lo stava cercando.

Antonio non trovò altro da dirle che rimproverala per aver abbandonato i suoi doveri romani.

Si separarono freddamente e poco dopo ella morì.

Si racconta che Antonio fu “particolarmente addolorato”.

Egli non rivide Cleopatra per tre anni e nel frattempo convolò a nuove nozze.

La nuova moglie era Ottavia, sorella di Ottaviano.

Fu un matrimonio molto felice e i rapporti con il cognato erano ottimi.

L’Impero venne diviso fra i due: Ottaviano prese la metà occidentale e Antonio quella orientale, compreso l’Egitto.

Malauguratamente “quel gran male che era caduto da tanto tempo nell’oblio, la passione per Cleopatra che sembrava essersi assopita, prese di nuovo il sopravvento”.

Il ricongiungimento di Antonio e Cleopatra vide le posizioni ribaltate.

Adesso toccava a lui mostrarle la sua generosità, e le offrì Cipro, la Fenicia, le sponde arabe del Mar Rosso e buona parte della Siria, Cilicia e Giudea.

Per tutta risposta la Regina gli chiese anche il tratto della Siria che apparteneva al re Erode.

Non potendo, le diede i Giardini di Gerico.

L’interludio fu sospeso con la chiamata in guerra di Antonio, questa volta in Siria.

La guerra si concluse con un insuccesso: stanco e derelitto, fu lasciato sulla spiaggia vicino a Beirut dove, demoralizzato perché non aveva denaro per pagare le sue truppe, si diede pesantemente al bere.

Entrambe le donne della sua vita si prodigarono per aiutarlo, inviando denaro e rinforzi.

Cleopatra arrivò per prima e, informata che Ottavia era per strada, “finse di essere pazzamente innamorata di Antonio”.

Gli scritti di Plutarco ci riferiscono che fece lo sciopero della fame e che assumeva un’espressione di bruciante passione ogniqualvolta  Antonio le fosse vicino e di sconforto quando egli aveva altre cose da fare.

Nel frattempo Ottavia aveva ricevuto l’ordine da Atene di tornarsene a casa.


Ottaviano si infuriò molto alla notizia del comportamento tenuto nei confronti della sorella e per i regali offerti a Cleopatra.

In più fu informato che Antonio, ritornato in Egitto con Cleopatra, aveva organizzato ad Alessandria una festa trionfale per festeggiare la vittoria sugli Armeni, prerogativa questa di Roma.

Si raccontava inoltre che Cleopatra avesse presieduto alla festa seduta su un trono d’oro, vestita con un ridicolo costume dalla testa di falco e corna di toro.

Ottaviano si convinse che entrambi erano pazzi.

Antonio ripudiò Ottavia scacciandola di casa.

Ottaviano dichiarò guerra al cognato, ma prima dovette trovare Antonio e Cleopatra che si erano recato con l’esercito egiziano, in Grecia.

Ottaviano e le truppe di Antonio si scontrarono e la battaglia fu un insuccesso.

Antonio non combattè accanto ai suoi uomini ma si nascose a bordo della barca di Cleopatra dove, riflettendo su ciò che aveva fatto, passò tre giorni in silenzio seduto a prua con la testa fra le mani.

Mentre il vascello di Cleopatra si avvicinava ad Alessandria, e fu evidente che Ottaviano non gli stava alle calcagna, l’umore di Antonio migliorò.

Cleopatra, d’altro canto, sembrava rendersi conto che la fine era vicina.

Ella, si narra, si lasciò mordere da un’aspide e morì.

Ultimò il suo grandioso progetto facendosi costruire una tomba reale ad Alessandria.

Ottaviano sconfisse le difese di Alessandria che oppose poca resistenza nonostante lo stesso Antonio combattesse coraggiosamente.

Antonio lasciò il campo di battaglia solo quando apprese che Cleopatra si era suicidata.

Egli si recò nelle sue stanze, passò la spada al servo Eros e gli chiese di trapassarlo.

Il fedele servo non volle farlo e, al contrario, vi cadde sopra lui stesso.

Antonio pensò bene di imitarlo ed era già agonizzante a terra quando gli riferirono che Cleopatra era ancora viva.

Antonio fu trasportato su una lettiga nella stanza della Regina e avvicinato alla finestra.

“Nessuno spettacolo fu mai così commovente”, scrisse Plutarco, che afferma essere un testimone oculare.

“Antonio fu sollevato, sporco di sangue, e lottando contro la morte distese la mano verso Cleopatra”.

Ella lo strinse a sé ed egli morì fra le sue braccia.

A dispetto delle leggende, in quel frangente Cleopatra non si fece mordere da alcun serpente.

Sembra che la Regina abbia preso parte al funerale dell’amato e che sia vissuta ancora per qualche tempo.

Probabilmente la storia del suicidio è vera, perché temeva che la vittoria di Ottaviano potesse significare il suo imprigionamento.

Ma prima di morire incontrò Ottaviano.

Secondo Plutarco, ella sperava di riuscire a convincere Ottaviano, se solo egli fosse caduto fra le sue braccia.

Ma non ci riuscì.

La vera Cleopatra affascinava i suoi contemporanei per la sua voce ammaliante e per la  sagacia delle sue risposte.

Sembra che fosse un’esperta linguista, capace di conversare con Egizi, Etiopi, Ebrei, Arabi, Siriani, Medi e Parti.

In realtà non sappiamo come fosse il suo fisico perché il suo avversario, Ottaviano, ne distrusse ritratti e statue alla sua morte.

Esistono comunque molte congetture malevole sulle dimensioni del suo naso.

“Tutto quello che possiamo dare per certo”, disse uno storico vittoriano, “è che non aveva un naso piccolo”.

Una mostra dedicata a Cleopatra presso il British Museum di Londra ha portato alla luce 10 immagini inedite in stile egizio dell’affascinante Regina.

Sulle monete e le statue scolpite durante la sua vita, il volto di Cleopatra appare più simile ad una caricatura che non a una vera bellezza, con il collo lungo e i lineamenti duri da uccello da preda.

Secondo Plutarco, era impossibile fissarla senza esserne soggiogati, suggerendo che anche allora la sua fama di sensualità e bellezza superava la realtà.

Per quanto riguarda il nasone, si dice che denoti forza di carattere, ed è probabilmente quello che aveva in mente il filosofo francese Pascal, nel diciassettesimo secolo, quando scrisse: “Se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, il mondo sarebbe stato diverso”.




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