venerdì 1 marzo 2013

RICERCA SUI FARAONI : IL PRIMO SCIOPERO DELLA STORIA












Da una ricerca sui faraoni abbiamo trovato il primo sciopero di cui si abbia notizia; e riuscì benissimo.
"Niente grano per il pane, niente orzo per la birra: e allora niente lavoro"
preparazione del pane e della birra, Museo delle Antichità Egizie, Torino

Ed era contro il faraone….

Per 500 anni i faraoni dell’antico Egitto furono sepolti nella Valle dei Re, in grandi tombe sotterranee scavate nella roccia da squadre specializzate di operai che erano al loro servizio; numerosi studiosi si sono dedicati alla ricerca sui faraoni e le loro tombe.


Secondo le iscrizioni ritrovate nelle tombe, un gruppo di questi operai specializzati organizzò il primo sciopero e sit-in della storia.

Con sistemi che al giorno d’oggi sono perfettamente collaudati e all’ordine del giorno, essi riuscirono ad ottenere dal faraone ciò che volevano.

La ricerca sui faraoni, portò  alla scoperta che gli Egizi decisero di essere sepolti nella Valle di Re, sulla sponda occidentale del Nilo, in una località non lontana da Tebe, la capitale, oggi  Luxor, per essere al riparo dai ladri e dai saccheggiatori di tombe.

Purtroppo, la ricerca sui faraoni e le loro tombe da parte degli egittologi dimostrò che questo loro espediente non servì quasi a nulla, perchè i ladri di tombe furono inesorabili.

Fu il faraone Thutmose I°, a decidere, nel 3500 a.C., di farsi costruire una tomba sotterranea, nella zona che fu poi chiamata la Valle dei Re, dove, dopo una lunga ricerca sui faraoni  fu ritrovata nella nostra epoca.

Da allora e per tutto il periodo delle prime tre dinastie (cioè dalla XVIII alla XX) del Nuovo Regno (1567/1085 a.C.), tutti i faraoni si fecero seppellire nella Valle dei Re.

L’ardua impresa di scavare nella roccia, creare passaggi tortuosi, aperture segrete e stanze finte, era affidata ad una sorte di corporazione di artigiani, i quali decoravano anche l’interno delle tombe.

Questi operai alloggiavano in un villaggio appositamente creato, Deir el-Medinah, che sorgeva su un arduo tratto di deserto.






Noto agli antichi Egizi come “il luogo della verità”, esiste ancora oggi e i turisti possono percorrere le sue strade e ammirare i resti delle 70 strane case, costruite con mattoni e fango.

Le singolari case sono allineate sui due lati della strada ed erano a un solo piano, con quattro stanze poste una dopo l’altra.






Nessuna usufruiva di una riserva di acqua privata, ma c’era una cisterna pubblica, all’esterno della porta principale del muro di cinta.

Una conoscenza più approfondita delle condizioni di vita di questi operai ci proviene dalle migliaia di ostraca  (frammenti di pietre calcaree e pezzi di ceramica pieni di iscrizioni in ierativo – scrittura rapida e semplificata dei geroglifici)  e, in alcuni casi, da disegni.

Questi, furono scoperti da archeologi francesi durante gli scavi effettuati in zona fra il 1922 e il 1947.

In questi frammenti, oltre a tante informazioni, sono riportati i nomi, gli incarichi degli operai e annotazioni su come procedevano i lavori nelle varie tombe.

u un ostracon c’era addirittura scritto che un addetto ai lavori era rimasto assente per un giorno perché aveva litigato con la moglie.

Organizzati in due squadre, ciascuna diretta da un caposquadra, un aiutante e l’immancabile scriba, gli uomini lavoravano otto ore di seguito al giorno, per 8 giorni consecutivi e in questo periodo dormivano in semplici baracche innalzate vicino alle tombe alle quali lavoravano.

Il nono e il decimo giorno facevano vacanza e tornavano al loro villaggio, dove trovavano le famiglie ad aspettarli.

Non lavoravano neppure in occasione delle grandi feste che venivano celebrate in onore degli dei principali.

Il salario mensile, pagato in natura – grano per il pane e orzo per la birra -, proveniva dalle proprietà reali; a ogni squadra “in servizio” venivano assegnate alcune donne per fare la farina.



Alcuni lavandai erano addetti al bucato e dei vasai al tornio per rifare i vasi che venivano rotti durante  il lavoro.

Gli operai ricevevano inoltre razioni di pesce, verdura, legna da ardere e olio per il corpo, molto richiesto dagli uomini che lavoravano nel caldo e tra la polvere.



Di tanto in tanto il faraone in persona premiava i suoi operai con merce pregiata come carne, vino, sale e birra asiatica.



Isolati nel deserto, impossibilitati a coltivare orti, gli abitanti del villaggio contavano sulla puntualità dei rifornimenti che arrivavano generalmente il ventottesimo giorno del mese.

A volte capitava però, che le carovane degli animali non arrivassero puntuali con il loro carico.

Nel ventinovesimo anno di regno di Ramsete III, i rifornimenti non giunsero al villaggio per diverse settimane; allora gli operai abbandonarono gli strumenti di lavoro e si recarono al grande tempio funerario di Ramsete II.

Là sedettero disciplinatamente, rifiutando di tornare agli scavi se prima non fosse stato informato il faraone della loro deplorevole situazione.

Uno scriba del tempio, udite le ragioni degli uomini, ordinò che venissero loro assegnate le scorte di grano riservate agli stessi scribi, nella quantità sufficiente per un mese.

Gli operai organizzarono altri scioperi nei mesi che seguirono, perché venissero distribuiti tutti gli arretrati mensili.

Per  quanto ne sappiamo, nessuno di loro fu punito per aver osato dettare condizioni al faraone.

Stando a queste testimonianze, sembra che i faraoni, ben lungi dall’essere i despoti spietati di molti film hollywoodiani, fossero più comprensivi, e la loro manodopera meno docile di quanto non ci abbiano spesso fatto credere.

Questi uomini non erano certamente degli schiavi, ma anzi occupavano una posizione particolarmente importante; sapevano bene che il loro lavoro era indispensabile al faraone il cui viaggio nell’aldilà non avrebbe potuto avvenire se la sua tomba, la sua “dimora eterna”, non fosse stata decorata, abbellita con suppellettili e completata in tempo per accogliere le sue spoglie mortali.


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