"Niente grano per il pane, niente orzo per la birra: e allora niente lavoro"
preparazione del pane e della birra, Museo delle Antichità Egizie, Torino |
Ed era contro il faraone….
Per 500 anni i faraoni
dell’antico Egitto furono sepolti nella Valle dei Re, in grandi tombe
sotterranee scavate nella roccia da squadre specializzate di operai che erano
al loro servizio; numerosi studiosi si sono dedicati alla ricerca sui faraoni e le loro tombe.
Secondo le iscrizioni
ritrovate nelle tombe, un gruppo di questi operai specializzati organizzò il
primo sciopero e sit-in della storia.
Con sistemi che al giorno
d’oggi sono perfettamente collaudati e all’ordine del giorno, essi riuscirono
ad ottenere dal faraone ciò che volevano.
La ricerca sui faraoni, portò alla scoperta che gli Egizi decisero di
essere sepolti nella Valle di Re, sulla sponda occidentale del Nilo, in una
località non lontana da Tebe, la capitale, oggi
Luxor, per essere al riparo dai ladri e dai saccheggiatori di tombe.
Purtroppo, la ricerca sui faraoni e le loro tombe da parte degli egittologi dimostrò che questo loro espediente non servì quasi a nulla, perchè i ladri di tombe furono inesorabili.
Fu il faraone Thutmose I°, a
decidere, nel 3500 a.C.,
di farsi costruire una tomba sotterranea, nella zona che fu poi chiamata la Valle dei Re, dove, dopo una lunga ricerca sui faraoni fu ritrovata nella nostra epoca.
Da allora e per tutto il
periodo delle prime tre dinastie (cioè dalla XVIII alla XX) del Nuovo Regno
(1567/1085 a.C.), tutti i faraoni si fecero seppellire nella Valle dei Re.
L’ardua impresa di scavare
nella roccia, creare passaggi tortuosi, aperture segrete e stanze finte, era
affidata ad una sorte di corporazione di artigiani, i quali decoravano anche
l’interno delle tombe.
Questi operai alloggiavano
in un villaggio appositamente creato, Deir el-Medinah, che sorgeva su un arduo
tratto di deserto.
Noto agli antichi Egizi come
“il luogo della verità”, esiste ancora oggi e i turisti possono percorrere le
sue strade e ammirare i resti delle 70 strane case, costruite con mattoni e
fango.
Le singolari case sono allineate
sui due lati della strada ed erano a un solo piano, con quattro stanze poste
una dopo l’altra.
Nessuna usufruiva di una
riserva di acqua privata, ma c’era una cisterna pubblica, all’esterno della
porta principale del muro di cinta.
Questi, furono scoperti da
archeologi francesi durante gli scavi effettuati in zona fra il 1922 e il 1947.
In questi frammenti, oltre a
tante informazioni, sono riportati i nomi, gli incarichi degli operai e
annotazioni su come procedevano i lavori nelle varie tombe.
u un ostracon c’era
addirittura scritto che un addetto ai lavori era rimasto assente per un giorno
perché aveva litigato con la moglie.
Organizzati in due squadre,
ciascuna diretta da un caposquadra, un aiutante e l’immancabile scriba, gli
uomini lavoravano otto ore di seguito al giorno, per 8 giorni consecutivi e in
questo periodo dormivano in semplici baracche innalzate vicino alle tombe alle
quali lavoravano.
Il nono e il decimo giorno
facevano vacanza e tornavano al loro villaggio, dove trovavano le famiglie ad
aspettarli.
Non lavoravano neppure in
occasione delle grandi feste che venivano celebrate in onore degli dei
principali.
Il salario mensile, pagato
in natura – grano per il pane e orzo per la birra -, proveniva dalle proprietà
reali; a ogni squadra “in servizio” venivano assegnate alcune donne per fare la
farina.
Alcuni lavandai erano
addetti al bucato e dei vasai al tornio per rifare i vasi che venivano rotti
durante il lavoro.
Gli operai ricevevano
inoltre razioni di pesce, verdura, legna da ardere e olio per il corpo, molto
richiesto dagli uomini che lavoravano nel caldo e tra la polvere.
Di tanto in tanto il faraone
in persona premiava i suoi operai con merce pregiata come carne, vino, sale e
birra asiatica.
Isolati nel deserto, impossibilitati
a coltivare orti, gli abitanti del villaggio contavano sulla puntualità dei
rifornimenti che arrivavano generalmente il ventottesimo giorno del mese.
A volte capitava però, che
le carovane degli animali non arrivassero puntuali con il loro carico.
Nel ventinovesimo anno di
regno di Ramsete III, i rifornimenti non giunsero al villaggio per diverse
settimane; allora gli operai abbandonarono gli strumenti di lavoro e si
recarono al grande tempio funerario di Ramsete II.
Là sedettero disciplinatamente,
rifiutando di tornare agli scavi se prima non fosse stato informato il faraone
della loro deplorevole situazione.
Uno scriba del tempio, udite
le ragioni degli uomini, ordinò che venissero loro assegnate le scorte di grano
riservate agli stessi scribi, nella quantità sufficiente per un mese.
Gli operai organizzarono
altri scioperi nei mesi che seguirono, perché venissero distribuiti tutti gli
arretrati mensili.
Per quanto ne sappiamo, nessuno di loro fu punito
per aver osato dettare condizioni al faraone.
Stando a queste
testimonianze, sembra che i faraoni, ben lungi dall’essere i despoti spietati
di molti film hollywoodiani, fossero più comprensivi, e la loro manodopera meno
docile di quanto non ci abbiano spesso fatto credere.
Questi uomini non erano
certamente degli schiavi, ma anzi occupavano una posizione particolarmente
importante; sapevano bene che il loro lavoro era indispensabile al faraone il
cui viaggio nell’aldilà non avrebbe potuto avvenire se la sua tomba, la sua
“dimora eterna”, non fosse stata decorata, abbellita con suppellettili e
completata in tempo per accogliere le sue spoglie mortali.
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