mercoledì 7 novembre 2012

CHE COS'E' UN' OASI

L’oasi, meravigliosa visione che spunta dalle sabbie del deserto infuocato, danzando nell’aria calda come una visione verde pulsante di vita e presagio di ristoro e conforto per chi la scorge da lontano; gemma di smeraldo che sembra precipitata sulla sabbia dorata in tempo imprecisabile.

Invece, l’oasi è una magnifica creazione dell’ingegno umano.

Nell’oasi ogni luogo, ogni architettura, ogni manufatto sono carichi di significato.

Nell’oasi  nulla è superfluo o inutile; tutto è utilizzato, usato, adattato.

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Il termine “oasi” con la sua definizione moderna e coerente, venne data dal geografo greco Strabone che viaggiò in Egitto, risalendo anche il Nilo, nel 24/25 a.C.

Egli descrive così l’oasi:

“Gli Egiziani chiamano “oasi” i luoghi abitati circondati da vasti deserti, come isole nel mare aperto”.

E il termine “oasi” deriva proprio dall’egiziano wahat che esprime l’idea di acqua e umidità.

Per “oasi” s’intende tutto un ecosistema formato da stanziamento umano, palmeto, coltivazioni ed elaborati sistemi di estrazione e distribuzione dell’acqua estratta dal sottosuolo. E’ un paesaggio, un “giardino” dove le palme da dattero, gli olivi, la vite, gli alberi da frutto come le albicocche, gli agrumi, la canna da zucchero, l’erba per gli animali sono piantati e coltivati meticolosamente con sistemi, in alcune piccole oasi, ancora manuali.

Ecco come definisce un’ oasi lo scrittore Pietro Laureano:

 “l’oasi è un insediamento umano che in condizioni geografiche aride usa le risorse disponibili localmente per creare un’amplificazione di effetti positivi e determinare una nicchia vitale auto sostenibile e un ambiente fertile in contrasto con l’intorno sfavorevole”

 

Nell’oasi il campo coltivato è chiamato “jenna”, che in arabo significa “giardino” e “paradiso”.

Questa stretta relazione fra il giardino e l’idea del paradiso è propria della cultura islamica.

Nell’oasi la coltivazione dei “giardini” è un elemento molto importante in quanto struttura che ordina, che organizza il territorio; una geometria come azione creativa dovuta all’ostilità del deserto che la circonda. Una necessità di ordine e struttura; di confini ben delimitati e segnati, in risposta agli enormi e sconfinati spazi del deserto.

 

L’architettura degli edifici nell’oasi è essenziale e resa ottimale per renderla adatta al difficile ambiente circostante e al calore estivo; essa si esprime attraverso elementi genuini e naturali come la terra cruda, il fango, le foglie di palma secche, la luce, l’acqua.

 

Il deserto e la vegetazione, il cielo e la sabbia, il vento, i rumori, il calore, gli odori entrano, a pieno diritto, tra gli elementi della struttura urbana.

Niente è lasciato al caso; tutto ruota attorno all’elemento acqua, sole, terra.

 

Quando mi aggiro per le strade di Bawiti, capoluogo dell’oasi di Baharia, mi sento proiettata fuori dallo spazio-tempo abituale europeo o anche solo metropolitano.

Il traffico sulle arterie principali della cittadina è composto prevalentemente da auto fuoristrada che sembra senza età e che trasportano di tutto dalle pecore, ai tappeti, all’erba appena raccolta nei “giardini”, alle persone.

Il suono dei clacson delle auto è continuo e può essere usato per qualunque cosa; per salutare un amico, per avvertire che si sta arrivando, per far spostare i pedoni dalla strada, per far uscire qualcuno da casa.

Dal mio punto di vista l’egiziano e il clacson della sua auto sono inseparabili.

Al Cairo si parlano, da una parte all’altra della strada, azionando in diversi modi il clacson.

 

L’elemento costante che incontri anche per le stradine di Bawuiti è la sabbia; essa è presente dovunque. Le strade stesse, eccetto quella principale, sono composte da sabbia. I mezzi corrono sulla sabbia, e la sabbia ricopre il suolo della città.

Il deserto è appena fuori dalla città, subito dopo i lussureggianti giardini e le floride palme cariche di datteri.

Il vento, da qualunque parte soffi, trasporta la sabbia fino alle porte delle case, entra nei negozi e crea una patina di antico in ogni luogo. La gente del luogo è abituata e non ci fa più caso; convivono con essa senza isterismi o nervosismi come noi occidentali.

 

L’elemento fondamentale per la creazione e la vita dell’oasi è l’acqua.

Senza l’acqua non esiste la vita, soprattutto nel deserto.

Nella lingua araba egiziana la parola acqua è detta “maja”.

 

La religione islamica è germogliata in uno degli ambienti tra i più aridi e ostili all’uomo come il deserto del Sahara. Queste caratteristiche non potevano non trasformare

l’ acqua in sostanza “divina”, preziosa, dono concesso da Dio e da usare con cura e in maniera accorta, senza sprechi né abusi.

 

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